lunedì 13 agosto 2018

LA VOCE DI TENORE DEVE ESSERE TENORILE, né "aperta" né "baritonale"



«Nel 1933, la forte e giovane voce di un tenore veneto cantava, all'Opéra Comique di Parigi, il "Werther" in perfetto francese, acclamato da quel pubblico espansivo e intelligente. Quella voce educata alla scuola francese della declamazione e della fonazione, si era, per così dire, specializzata nel repertorio abituale del teatro parigino. (...) Lugo stava per diventare il primo tenore di Francia. Ma ecco che i teatri italiani, perdurando l'assenza dei grandi tenori impegnati all'estero, lo chiamano a gran voce, battezzandolo "nuovo Caruso". E il "nuovo Caruso" viene in Italia per cantare, in una lingua a lui non più familiare, e così diversa dalla "coesiva" lingua francese, in un repertorio limitato a "Tosca", "Bohème" e "Fanciulla del West". Ma breve sarà l'ora del successo. Dopo pochi anni, la stella di Giuseppe Lugo tramonterà tra l'indifferenza del pubblico. (...)

Non v'è una altrettanto valida ragione per giustificare il disorientamento che sembra vada profilandosi nella voce del siciliano Di Stefano, che incominciò baldamente, con i "Pescatori di perle" all'Opera di Roma, a far parlare di sé. Cantava allora con naturalezza, semplicità, buon gusto e disciplina "Mi par d'udire ancora" nel tono originale e con uguaglianza di gamma. Alla distanza di poco più di un lustro, dedicatosi alla Tosca e alla Gioconda, ha cambiato tecnica; e l'abuso di suoni acuti, verticali tra faringe e polmoni, minaccerebbe un precoce dissolvimento, se la sensibilità e l'ingegno del simpatico cantore non facessero sperare in un provvido ritorno alla sua natura e al suo stile.
Purtroppo, il miraggio carusiano tenta ancora le giovani fantasie e incoraggia temerarie esperienze. Nessun tenore può sostituire la "Voce del secolo", per la semplice ragione che uno schietto tenore non può aspirare a divenire un cantore baritonale, sia pure eccelso, ma non, tipicamente, tenore. Per cantare alla Caruso, bisogne rinunciare alla "Lucia", alla "Favorita", ai "Puritani", alla "Sonnambula", al "Trovatore", a tutto il repertorio limpidamente e lucidamente tenorile, ed abbracciare l'opera verista, passionale, che logora cuore, voce e salute. Il tenore deve essere tenore, come baritono e basso debbono essere tali, quali le esigenze timbriche dell'opera impongono. Si lasci Caruso alla sua gloria solitaria - che sulle altre "com'aquila vola", considerandolo un caso irripetibile nell' "ornitologia" canora (1).»

(1) Le osservazioni sulla voce di Pippo risalgono al 1955, anno della prima edizione di quest'opera. Purtroppo la voce "aperta" di Di Stefano con l'abuso di note spalancate è scomparsa innanzi tempo: le previsioni dell'autore si sono avverate puntualmente.

(da: G.Lauri Volpi - "VOCI PARALLELE", 3za ediz. 1977)


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