lunedì 13 agosto 2018

Canto leggero e "mezza voce" secondo Lauri-Volpi

Lauri Volpi - CANTO LEGGERO E "MEZZA VOCE" :


« Un gruppo di studenti e dilettanti di canto scrive: "Abbiamo letto la sconcertante intervista concessa a Mario Rinaldi da Mario Del Monaco il quale, a un certo punto, afferma che il canto "a piena voce", basato su "un allenamento muscolare e fisiologico" è l'unico valido. E aggiunge: "Il cantar leggero uccide la voce; il cantar grave non reca danno." Alla fine, porta in ballo anche lei: "Lauri Volpi - dice - ha 22 anni più di me e sembra un giovanotto. E non si può dire che gli faccia difetto la voce. E' questione di vita e di sacrifici. E in ciò Lauri Volpi è un modello." Citando lei, pare voglia convalidare il suo metodo. Che ne dice? Vuole esprimere la sua opinione al riguardo? Chi studia il canto, dopo quella intervista, non sa che pesci pigliare." (...)

Non confondiamo i diversi stili con la tecnica. Questa è una e vale per tutti i tempi ed è basata su leggi fisiologiche e acustiche inalienabili intese a stabilire una economia vocale che preservi la fonazione dal decadimento prematuro. Il Rinaldi, dopo la "prima" d'Otello, recentemente rappresentato all'Opera, aveva notato "la voce oscura e un po' dura" del protagonista, aggiungendo subito che oscurità e durezza si addicevano a quel personaggio. Faceva, insomma, intuire che la durezza, cioè il "cantar grave e oscuro", non potrebbe convenire ad altri "personaggi". (...)
Ciò premesso, debbo gradire a Del Monaco la constatazione con la quale mi ha cortesemente chiamato in causa. Sì, a 40 anni di carriera, la voce mi è rimasta intatta nella gola e sul fiato. Sarebbe interessante dimostrarlo come feci un anno fa col Trovatore nel primo teatro di Roma. E' un'opera che riassume tutte le difficoltà che si oppongono a una voce, nella prima e nella seconda ottava, esigendo suoni gravi, centrali, acuti in perfetta omogeneità. Guai se l'artista non possiede la MEZZA VOCE, da non confondere con il FALSETTO, a cui si riferisce Del Monaco accennando al "canto leggero" ch'egli ripudia. Il falsetto, infatti è la tisi della voce. Ma la MEZZA-VOCE è voce vera, naturale. Con essa, Schipa, e Gigli con il suo "misto" famoso, hanno fatto la grande carriera. Ma Gigli, interrogato non può rispondere. E Schipa è a Budapest. Che direbbero circa il ripudio perentorio del "cantar leggero"? Avendo io cantato i tre repertori: del tenore leggero (con il Barbiere), del lirico (con il Rigoletto e i Puritani), e del drammatico (con il G. Tell, il Trovatore, il Poliuto, gli Ugonotti e l'Otello) potrei assumere una posizione intermedia, al di sopra della mischia. Sarebbe di certo sommamente interessante poter praticamente dimostrare la mia tesi. Immaginate un gran concerto in cui cantassero pezzi di vario genere e stile, Del Monaco, Di Stefano, Corelli e il veterano che scrive. I risultati darebbero un'idea esatta della realtà tecnica ed estetica del canto teatrale. (...) Direzione dello Spettacolo, Sovrintendenza, Radio, giornali, hanno voluto seppellirmi innanzi tempo. Tuttavia sono pronto al "gran cimento", ed il pubblico sentirebbe che il veterano saprebbe sfoderare una voce e sperimentare un metodo che non falliscono.

E QUAL è questo metodo? Quello dell'armonia dei contrari. Niente falsetti sfoggiati, senza un minimo di sostegno diaframmatico in concorso con la continuità della colonna di fiato, tramutato in suono. E niente gravità eccessive, che esigono un esagerato sfruttamento della capacità polmonare. Sfruttamento che verso i 50 anni determina enfisemi, debolezza e stanchezza del mantice, esaurimento nervoso. "Abbassamento muscolare e fisiologico" sì, ma senza esagerare. Si possono avere, anche nell'atletismo sportivo, muscoli sviluppatissimi, ma nervi deboli. Giova dunque tener presente l'immagine della corda e dell'arco. Tensione sì, ma con elasticità tale, che consenta di lanciare lo strale a lunga distanza. Altrimenti: "corda che troppo è tesa, spezza se stessa e l'arco". E ciò, di solito, avviene a cavallo dei 50 anni - ho detto - e in corrispondenza del climaterio, età critica che mette la rivoluzione nell'organismo umano.
Tamagno cantava di fibra. A 46 anni, smise di cantare per il sopravvenuto enfisema polmonare. Caruso, che prediligeva negli ultimi anni le sonorità gravi ed ampie fino a sembrare un baritono, se ne andò all'altro mondo a soli 51 anni, per una semplice bronchite che, a cagione della sopravvenuta debolezza del tessuto polmonare - che è delicatissimo - degenerò in polmonite purulenta. E qui viene a capello il mio incontro con Giovanni Zenatello, che per anni si era sfogato in Carmen e in Otello.
Nel 1928 mi scritturò alla Arena di Verona per eseguire il Rigoletto, che mi diede l'occasione preziosa di conoscere Gabriele D'Annunzio. Il quale, dopo il secondo atto, viene sul palcoscenico: e il pubblico, riconosciuto, gli decretò un'ovazione trionfale.
In quel periodo, io ero ospite di casa Zenatello; una casa stile palladiano, in mezzo a ville, vigne ed orti fiorenti nella turgida estate veronese. Una mattina, Zenatello mi chiamò nel suo salotto. Volle ch'io l'udissi cantare "Celeste Aida". Una meraviglia! Rimasi trasecolato: "E perchè ha smesso di cantare, con questa voce stupenda?".
"Caro amico, vedi? Con questa voce io canto in casa. Ma dimmi: - Vieni stasera a cantare l'Otello in Arena. - Al solo pensiero, incominciò a tremare. All'ora di pranzo, non mangerò. Nel pomeriggio non riposerò. All'ora della recita vedrò rosso. E quando uscirò a cantare l' "Esultate", avrò il fiatone, e alla fine della bravata mi porteranno a braccio in camerino. Hai capito? Non mi manca la voce. L'ho tutta qui. Mi manca il fiato. Ho cantato troppo sotto lo sforzo muscolare. Finché ero giovane, l'impulso mi aiutava. Ma adesso, a 50 anni suonati, capisco che ho fatto una corbelleria nell'adottare un metodo che spossa l'organismo e squassa la voce."

Il fatto è che Del Monaco, in quanto dedito al repertorio esclusivamente drammatico, è una specie di fenomeno. Non può erigersi a capo-scuola di un metodo che a lui dà risultati artistici ed economici notevoli. "Scuola moderna", "metodo moderno", "musica moderna" sono i temi che ricorrono con frequenza nella sua intervista appassionata. (...) Persino l'Otello verdiano è catalogato nella "musica moderna", Dio mio! Quando mai la musica moderna, tutta declamata, con accompagnamento orchestrale "scientifico", esprime dal suo seno idee melodiche? Otello canta, canta sempre, persino nei momenti di esaltazione epilettica. E canto vuole dire alternare voci alte e gravi, dolci e forti, voce spiegata e mezze-voci. Proprio per l'Otello, Verdi si proccupava delle mezze tinte, del fraseggiare armonioso e contenuto, insomma delle "mezze-voci". E a proposito di queste scriveva a Ricordi: "Come può eseguire il Tamagno, le lunghe e complesse frasi a mezza voce che non ha?". Non protestò la Pantaleoni, sostituendola nell'edizione romana, perché non sapeva "portare la voce in testa" - parole testuali - e perciò non riusciva a sostenere "la Canzone del salice" e la successiva "Ave Maria", in cui la Muzio, la Tebaldi, e recentemente la Cavalli hanno dimostrato come si canta sul tenue filo del soffio e "a fior di labbra"?
Ma Del Monaco ha l'esempio del suo giustamente ammirato Gobbi "col quale" - egli dice - "è un vero piacere cantare: si tratta di un artista autentico". Ebbene, che cosa ha dato Gobbi, eseguendo il "Sogno" famoso: "Desdemona soave, il nostro amor s'asconda"? una perfetta lezione di mezza-voce, mai cadendo nel falsetto. Se avesse usato "il cantar grave" invece del "cantar leggero", insinuante, sarebbe svanita la demoniaca perfidia di Jago. (...)
Del Monaco (...) telefonandomi dall'Hotel Plaza, volle confessare, per mia soddisfazione, che si era deciso a studiare l'Otello dopo aver scoperto una nota da me emessa nel disco dell' "Esultate". Dietro quella nota allineò tutte le altre, con risultato felicissimo. Poi venne a visitarmi con la sua consorte, collaboratrice ammirevole dell'artista, qui nella casa romana. Ebbi modo di constatare (...) i tormenti della sua vita interiore. Mi disse che sentiva, ogni giorno di più, incupirsi la sua voce e temeva che alla fine avrebbe dovuto cantare la parte del Gobbo nel Rigoletto. Celiando, risposi che in quel giorno gli sarei stato a fianco come Duca di Mantova. Son pronto a mantenere la promessa. »

(da: CANTO LEGGERO E "MEZZA VOCE" - Incontri e scontri di Giacomo Lauri Volpi - Articolo apparso su "Momento-sera" del 13 gennaio 1961)

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