sabato 31 ottobre 2020

Giacomo Lauri-Volpi: un vero "maestro" di Bel Canto

 

Giacomo Lauri-Volpi è stato uno dei massimi tenori di tutti i secoli, ma parallelamente alla sua carriera e specialmente dopo il ritiro dalle scene avvenuto nel 1959 è stato anche un eccellente esempio-modello di "maestro" di Bel Canto. 

Lo dimostrano le testimonianze sulle quali invitiamo tutti a riflettere con attenzione: 

BREVE LEZIONE DI CANTO (1933)

Testimonianza del soprano Adelaide Saraceni su Lauri-Volpi, che lo definisce "grandissimo maestro di belcanto":

"Gratia artis naturam perficit", ovvero il tenore francese Vergnes salvato da Giacomo Lauri Volpi !

<<Ho cenato con Vergnes, il tenore dell’Opéra Comique. Voleva conoscere il segreto di certi suoni. Teoria e pratica lo hanno scosso con l’evidenza. “Gratia artis naturam perficit”, è il mio motto, gli ho detto. La natura, priva della grazia dell’arte, non resiste da sola e si associa volentieri al caso. Finché va, va. Poi vacilla, declina, dilegua. Suono e parola vivono paralleli e simultanei nel canto. Un suono in gola e la parola smorta sulla bocca inarticolata, fanno un rumore; la parola, fuori dalla sfera sonora, è un’ombra insignificante. Trovare il punto esatto di risonanza è indispensabile. Il resto viene da sé. E gli ho fatto sentire le varie emissioni; boccale, gutturale, nasale, ventriloqua e infine la vera, la spontanea e sicura, che sulla continuità della colonna d’aria, sospinta e sorretta dal diaframma verso la volta palatale, modula suoni e articola parole in perfetta libertà, dentro il giuoco aereo della cavità di risonanza: parallelismo della parola e del suono.
Vergnes che canta da vent’anni s’è accorto dell’erroneo cammino percorso. Nuove idee gli hanno svelato la ridicola tirannia delle vecchie, da lui seguite con pertinacia esiziale che l’obbligavano a una perpetua ricerca, visibile agli spettatori, e ne facevano un tristo fantoccione in cerca di suoni. Un Diogene armato di lanterna alla ricerca dell’uomo. “Hai dato – mi grida – un tenore alla Francia. Sono salvo. Mi hai salvato tu. C’est épatant! unique!”>>

(da: G. Lauri Volpi - “A viso aperto”, Corbaccio, dall’Oglio editore, 1953, pag. 172 - Diario, 14 novembre 1947)

BECHI e NERI
Esempio pratico e Consigli tecnici di Giacomo Lauri Volpi verso Bechi e Neri in occasione di Aida:

<<Ieri mi sentii davvero male: temevo di non poter partecipare alla vespertina di Aida. Per contro, nessun cenno di pericolo o di sbandamento: una recita perfetta, oltre ogni speranza.

Bechi e Neri ne rimasero entusiasti. Il primo, con edificante umiltà, mi disse: “Scusi, Lauri-Volpi, cantando con lei. Cerco d’imitarla, di articolare, di dire e riesco ad ottenere sonorità nuove ed efficacissime. Ricorda il nostro Rigoletto del 1942 a Genova? Lei mi disse che rubavo le sue emissioni. Proprio così. Ma quando canto con altri, me ne scordo e ricado nel mugolìo dei suoni. Dovrei sempre cantare con lei.” Ho ringraziato il simpatico compagno della fiducia e gli ho ricordato che la monumentale gloriosa voce di Titta Ruffo durò in forma non più di 14 anni, a causa di quella fonazione che rilascia i muscoli facciali e orali ma appesantisce il fiato e stronca il diaframma, costretto a sopportare tutto lo sforzo del canto, essendo privo del sussidio verbale. La parola umana va espressa con chiara, articolata dizione, essenziale nella fonazione scenica del melodramma. Titta Ruffo nel 1922, cantando con me Il barbiere al Metropolitan, confessò che stentava a reggere la tessitura non già per decadenza vocale ma per deficienza di fiato. Per sorreggere l’enorme colonna sonora non valeva più la resistenza d’un diaframma duramente provato. Anche la voce più ricca di timbro, deve cedere di fronte ad un diaframma ribelle. La stessa disavventura toccò a Bernardo De Muro e a Fleta.

Il Neri, intimidito dal “fa” acuto della frase “folgore, morte”, mi domandò ieri consiglio. Quel “mo” di “morte” lo impensieriva. Gli suggerii il modo di proiettarlo e il “mo” scattò possente e sicuro. Neri me n’è grato. Dunque: i miei principii incominciano a illuminare queste voci meravigliose, queste menti cercatrici di verità. Esse meritano di conoscerla; ed io ho l’obbligo di svelare quello che so, non per scienza infusa, ma per dura esperienza.>>

(da: G. Lauri Volpi - “A viso aperto”, Corbaccio, dall’Oglio editore, 1953, pag. 434 - Diario, 14 gennaio 1952)

DEL MONACO
Lauri-Volpi affronta e risolve magistralmente l'esecuzione del si naturale acuto sulla vocale U della parola "uragano" - nell' "Esultate" dell'Atto I dell' "Otello" di Verdi !!!

(...) bisogna che la gola sia indipendente dall'articolazione (...) Tutte bisogna dirle le vocali, tutte le parole; se uno domina la gola, vale a dire che la colonna sonora è sempre quella intatta, i raggi sonori si proiettano sulla cassa cranica e allora sono indipendenti dalla articolazione. La vocale "A", diceva Rossini, è la regina delle vocali. I francesi non hanno un' "A" sonora come la nostra, nessuna lingua; la vocale A italiana ben messa è di per sé stessa una musica, diceva Rossini. (...) perché la "A" tiene tutto il condotto aperto.

(da una intervista di Sergio Saraceni, Roma 1962) 

cfr. "Accomodamento della A nel Canto Lirico secondo Giacomo Lauri-Volpi" (da: "Misteri della voce umana", 1957)

--> http://lauri-volpi-tecnicavocale.blogspot.com/2015/01/accomodamento-della-nel-canto-lirico.html


(...) Del Monaco ha sempre serbato un ricordo deferente verso l'anziano collega, al quale, telefonando, una mattina, dall'Hotel Plaza di Roma, volle svelare un suo segreto: «Vuol sapere, confessò, perchè mi decisi a studiare l' "Otello"? Già mi ero deciso a rinunciare alla carriera, dopo una disavventura nella "Gioconda" al Liceo di Barcellona, quando ebbi la ventura di ascoltare il suo disco dell' "Esultate". Notai il modo di emettere quel terribile "fa diesis" su cui poggia l' "a" della parola "uragano", che non si sa se vada "aperta" o "chiusa". Mi misi ad imitare il suo suono in quella nota e a forza di studio, riuscii ad allineare tutta la gamma sul quel suono con lo stesso colore. Così mi fabbricai una voce per l' "Otello"; l'opera della mia fortuna».
(...) Quanti hanno sentito quella mia nota! Eppure non ci hanno fatto caso. Per Del Monaco fu la salvezza. (...) Caso del tutto diverso, quello di Corelli, al quale rivelai, per giornate intere, il perchè di certa fonazione, a differenza di un'altra, con immediata dimostrazione vocale sulle più varie romanze del più famoso repertorio. Nella mia "Terza età", così la chiamano i gerontologi, mi sento orgoglioso di aver giovato ai due più quotati e scattanti tenori dell'ultima generazione lirica. (...) Quante voci si sarebbero salvate negli ultimi anni, se i giovani artisti avessero, come Del Monaco e Corelli, studiato sui vecchi: interrogato, imitato, amato i vecchi?

(da: G. Lauri-Volpi - "Il 'nipotino' di Otello" - Musica e Dischi, novembre 1968) 

Lauri Volpi "nonno del bel canto" invitato ad insegnare al Bolscioi di Mosca :

22 marzo 1971
(...) posso talvolta distrarmi un poco con la corrispondenza, che mi viene anche da paesi lontani, e persino d'al di là della cortina di ferro. Proprio stamane arriva un'aerea da Kiev (55 Brest Litovsc - 10 ap. 238). Un tal Vladimiro Mircotano inizia il suo biglietto con un saluto di questo genere:
"Buon giorno carissimo nonno del bel canto" (sic).
Ha una calligrafia chiarissima e si esprime in un italiano singolarmente preciso per uno slavo dell'URSS. Quel buongiorno al principio del messaggio vale un Perù. E prosegue:
"Mando a lei i miei saluti cordiali e migliori auguri. Io sono tenore e lavoro in opera. Io molto ascoltato di Lei e vorrei conoscersi personalmente. Scusatemi molto che conosco poco italiano e non potrò spiegarsi perfettamente. Mi molto interessato tutto da Lei, dischi con sua voce, e fotografie anche i libri per teoria di canto. Vorrei tradurre in russo e raccontare di Lei in URSS... Se avete i materiali che io descritto speditemi per favore... Sarò molto felice. Scusatemi per disturbi. Vi abracia Suo buon amico Vladimiro".
Non è interessante, Maria, sapere che in una nazione dove non ho mai cantato, soggetta a un regime che nega la vita soprannaturale, ci sia qualcuno che conosca la mia voce e mi chiami "Nonno del bel canto" con ingenua venerazione, e richieda i miei libri, ispirati alla metafisica della arte canora?

15 maggio 1971
Mi scrive un altro russo: Micailo Holovacenco, di Kiev, Via Ruschiuskaja, 10, ap. 3. Domanda informazioni anche lui su Solomea Crusceniski, sua connazionale. Nel 1973 cade il centenario della nascita della cantatrice che in Italia raggiunse chiara celebrità. Il russo è convinto ch'io abbia cantato a fianco della soprano. Ciò che non è. Testualmente scrive:
"Io raccogliere molti ricordi, mi sembra che Lei in memoria di celebre cantante vorrà evocare ricordo da Lei. Lei molto celebre e noto uomo in tutto il mondo anche in URSS. Lei siete autore di libri per metodo di bel canto... Carissimo Maestro, io spero molto, soltanto per Lei, Lei è mia speranza; io credo che Lei aiutami. Per questo sarò molto grato, Lei potrete entrare in Storia della cultura ucraina e mio popolo sarà molto riconoscente... Io molto prego Lei come mio padre, aiutami in questo affare... Suo buon amico Micailo Holovacenko".
L'altro russo, che si rivolse a me con la stessa richiesta si chiama Vladimiro Mircotano - Brest - Litovsk, 10, apt. 236 Kiev 252053 URSS. Ambedue m'invitano a insegnare al Teatro Bolscioi di Mosca. E' impressionante lo spettacolo che mi offre l'ammirazione che mi tributano giovani artisti, critici e scrittori da ogni parte del mondo: americani, australiani, cinesi, indiani, sud africani e europei occidentali e orientali. Quando si riflette che Titta Ruffo, Stracciari, Schipa morirono in miseria e ignorati dalla giovane generazione, non si può negare che la Provvidenza, conservando questa voce e sostenendo questa penna, abbia voluto attestare la sua assistenza a un artista che la implorò fin dai tempi della maturità e che, ora, è felice di proclamare ai quattro venti la sua esistenza, senza temere le reazioni degli increduli e dei propagandisti dell'ateismo. Queste notizie saranno da te gradite, Maria. E' a tutti noto essere stata tu la collaboratrice della Provvidenza nell'ispirarmi il "metodo metafisico" della fonetica vocale e artistica, al quale debbo l'integrità polmonare che mi consente, con poco fiato, di sostenere ancora la colonna sonora nella esecuzione delle "arie" famose nel repertorio romantico e verista, oggi, alla mia tarda età.

(da: G. Lauri Volpi - "Parlando a Maria" - Trevi Editore, Roma 1972)

13 giugno 1971 :
E' venuto quel Claude Thiolas che insegna canto a Treviso basandosi sul tuo metodo, Maria, esposto e commentato nei miei libri. Lo accompagna il tenore scaligero, che vorrebbe ascoltarmi e ricevere suggerimenti per rinnovare il caso Corelli. Ma io non mi son fatto udire da uno che ha studiato con altro tenore. Se, cambiando l'emissione, appresa da questo, per imitare la mia, dovesse peggiorare, mi si darebbe la colpa. Se dovesse migliorare, darebbe il merito a se stesso per non inimicarsi il maestro. Avrei tutto da perdere. Non dubito che tu, Maria, sia d'accordo con la mia decisione, giacché fosti sempre restia a che io svelassi i tuoi segreti canori agli altri, che immancabilmente ignorano spesso e obliano volentieri il bene ricevuto. Quel tenore ha robusta voce, ma non conosce il lancio del suono e l'eco del suono. Lirico, si dà alle opere drammatiche. Faceva il pugile, prima d'intraprendere la carriera lirica. E' rude e dimostra di non capire quello che canta. Viso ermetico, refrattario al sorriso. Dizione incolore. Niente mezze voci e sfumature. Ha scoperto il punto di risonanza, ma non apre la gola, e non sviluppa il suono con l'impiego degli armonici. Forza gli acuti. Ma tenori non sovrabbondano. E guadagna milioni. E' arrivato qui, dopo aver percorso duemila chilometri, in un'automobile tedesca di dieci milioni di lire. Con tanti quattrini che bisogno ha di studiare? Thiolas si è compiaciuto della franchezza con la quale ho espresso le mie idee. La prossima volta – mi dice – verrà solo.

(da: G. Lauri Volpi - "Parlando a Maria" - Trevi Editore, Roma, 1971) 

 
CORELLI
Come ricorda Franco Corelli in un’intervista RAI tratta dalla trasmissione TV “Il protagonista” dell’aprile 1979:

« Mi sono presentato a Lauri-Volpi, mi ha ricevuto qui nella sua Villa di via Nomentana, ricordo ora, ricordo come allora. Mi ha ricevuto, molto simpaticamente, e mi ha ascoltato, gli sono piaciuto, diciamo. Lui diceva che ero umile, ma non era questione di umiltà, era questione che quest'uomo sapeva molte cose ed io volevo apprendere da lui. E mi disse: "Senta, Corelli, adesso qui forse è un po' tardi, io vado a Valencia, perché non viene giù?" E disse: "A Burjasot abbiamo maniera di stare insieme e vediamo di concretare quello che lei mi chiede”. E così cominciò il “pellegrinaggio” a Burjasot. Un anno, il primo anno dieci giorni, il secondo anno venti, il terzo anno trenta. (…) Si iniziava così: io facevo una frase, o un vocalizzo, lui immediatamente la riprendeva. E mi diceva: “Guarda, noi non ci fermiamo mai, cioè: fino a che io non mi fermerò, tu la dovrai rifare, perché solo allora, in questa maniera, tu capirai che la nota, o il vocalizzo, la frase, va bene”. E allora era un vocalizzo dietro l’altro, una frase dietro l’altra. (…) perché capitavano quelle frasi che... perché non so quante volte noi avremo fatto la frase della Bohème “…la speranza”).

 
Il segreto di Lauri Volpi, passato a Corelli, per non avere difficoltà negli acuti !

<<I visited Lauri-Volpi at his home at Burjasot, near Valencia, to ask him for advice about my singing. He thought my voice was too heavy and that I compromised my ability to have a good climax on high notes by singing my center too loudly. He wanted my voice to float more. (...) Each year for thirteen years I spent a month in Valencia studying with him. (...)
He would say, “Corelli, remember, the aria is three or four minutes long. In ninety-five percent of the cases the high note is at the end. The more you push in the middle voice the more difficulty you’ll have on the high note. When you do the high note well the public applauds. When you don't it doesn't.”>>

<<Andai a trovare Lauri Volpi a casa sua a Burjasot, vicino a Valencia, per chiedergli dei consigli sul mio canto. Riteneva che la mia voce fosse troppo pesante e che, cantando nel centro troppo forte, io mi pregiudicassi la possibilità di raggiungere un autentico apice negli acuti. Voleva che la mia voce galleggiasse maggiormente. (...) Ogni anno, per tredici anni, ho passato un mese di tempo, a Valencia, studiando con lui. (...)
Egli mi diceva, “Corelli, ricorda, un'aria dura tre o quattro minuti. Nel novantacinque per cento dei casi l'acuto è alla fine. Più spingi nella voce media più difficoltà avrai sull'acuto. Quando fai bene l'acuto il pubblico applaude. Quando non lo fai bene non applaude.”>>

(da un'intervista audio a Franco Corelli, nel programma radio newyorkese "Opera Fanatic", condotto da Stefan Zucker, del 9 giugno 1990) 

 
Lauri Volpi : VACANZA DI CORELLI IN TERRA SPAGNOLA

Su "Momento-sera", quotidiano del pomeriggio edito a Roma, Lauri-Volpi scrisse ben 217 articoli intitolati “Incontri e scontri”. In quello datato 3 ottobre 1963, ed intitolato “Vacanza di Corelli in terra spagnola”, egli nel paragrafo “Problemi del canto” scrive:

<< (…) le giornate valenciane degli amici Corelli non sono tutte trascorse in svaghi e curiosità turistiche. Si è pure studiato sodo, quasi con accanimento. (…) Egli [Corelli] è venuto a discutere problemi d’arte e di fonazione in piena sincerità e libertà: problemi che, non risolti nelle scuole, hanno portato alla paralisi del teatro lirico e alla perdita di voci bellissime dopo soltanto una decina d’anni di carriera. Corelli ha una voce che merita di durare a lungo, se non altro per rinverdire una tradizione che è stata abbandonata con la conseguente decadenza del melodramma.
In dieci giorni, noi due ci siamo dati, anima e voce, a risolvere quei problemi seduta stante, durante circa due ore diarie (…) Vedevo la consorte del mio collega assiduamente attenta, sempre indaffarata a prendere appunti, a porre ogni tanto quesiti, a controllare quale delle soluzioni prospettate e dimostrate fosse la più convincente e evidente secondo le risonanze percepite. Ella ha approvato il modo di superare una difficoltà nella romanza della “Manon Lescaut” di Puccini che Corelli non ha ancora osato affrontare in pubblico, per timore di una sola frase: “A nuova vita l’alma mia si desta”. Il salto di “quinta” gli sembrava un ostacolo insormontabile, tra l’A e Nuo. (…) Nella Luisa Miller nella Turandot nel G. Tell nell’Aida nel Trovatore nella Bohème, la casa ha rintronato al bombardamento delle due voci. E la gente sostava sotto le finestre a sentirle. A poco a poco, negli ultimi giorni, sembravano una sola voce. E’ bello, stupendamente bello e onesto vedere due anime e sentire due voci che si fondono. Ma Corelli contesta: “E’ vero, adesso la mia voce si mimetizza con la sua, per suggestione e imitazione. Ma, lei assente, non ricadrò io nelle vecchie abitudini? Dovrei portare lei via con me, in una valigetta”. Scoppiamo tutti in una risata omerica.
L’importante è che Corelli abbia capito. Quando potrà studiare, da capo a fondo, un’opera mai prima cantata, egli saprà, alla luce della nuova esperienza, sottrarsi all’abitudine di una fatica eccessiva nell’emissione vocale. Del resto, ha avuto davanti a sé la viva voce di un uomo che durò a lungo sulla scena lirica e serba intatte le proprie capacità. >>

(da: VACANZA DI CORELLI IN TERRA SPAGNOLA - Incontri e scontri di Giacomo Lauri Volpi - Articolo apparso su "Momento-sera" del 3 ottobre 1963)

Nel 1967 apparve un articolo di G.Lauri-Volpi sulla rivista di Milano “MUSICA E DISCHI”, intitolato “A lezione dal veterano", che ci testimonia la relazione costante di studio e perfezionamento vocale tra Lauri-Volpi e Corelli! Eccone uno stralcio centrale:

<<Debbo parlare di me, perchè Corelli, nell’autunno del 1963 e nel successivo del 1964, venne a farmi visita, con la consorte, qui, nel mio rifugio spagnolo. Si trovava in piena angosciosa crisi di coscienza artistica circa la tecnica dell’emissione vocale e della respirazione cantata. Crisi di coscienza, che si rifletteva sulla sua struttura fisica e il suo stato psicologico, che lo induceva, nella pienezza della rinomanza e dei giovani anni, alla delusione e al pessimismo. Imperversava la baraonda dei festival e delle voci strampalate di esseri strani che gareggiavano nello strillo, nella sciatteria del suono e delle parole, rispettando soltanto un ritmo incalzante: ritmo spietato come una maledizione. Nell’800 emersero i “poeti maudits”; ma tra essi svettavano geni luminosi, creatori di versi fragranti di melodia verbale: un Baudelaire, un Verlaine, un Rimbaud: “fiori del male”, ma carichi di effluvi inebrianti. In questo caotico ‘900, pullulano gli “chanteurs maudits” che imprecano, protestano, si drogano, si suicidano e fanno scempio di corpi e di anime.
In tanto trambusto, anche il più accorto e affermato servitore del Melodramma avrebbe subìto un opprimente sconcerto; una specie di “dubbio logico” ed anche “metafisico”. Corelli temeva di smarrire la diritta via. Alcune note di famose romanze sfuggivano al suo controllo. Ed era sul punto di non poter più contare su di sé e il suo avvenire. Decise allora di recarsi a interrogare un veterano che conobbe l’epoca aurea del canto. E venne qui con la sua Ferrari, immagine della fretta esistenziale. Anche Corelli aveva fretta: fretta di scrutare, sapere, conoscere per decidere se dovesse continuare o smettere. Il caso era pressante e, insieme, singolarmente patetico. Si trattava di distruggere un intimo “complesso” a furia d’immediata reazione e con un bombardamento mattutino di prove e riprove, imitazioni, discussioni, esempi. Per quindici giorni, tre ore al giorno, dalle undici alle due, mi sottoposi, accompagnandomi al piano (la fotografia lo dimostra) all’improba fatica di eseguire le più famose, ed aspre per tessiture, romanze del repertorio: dal “Guglielmo Tell” ai “Puritani”, dalla “Gioconda” agli “Ugonotti”, dalla “Turandot” alla “Manon” pucciniana. Sempre a voce spiegata, sempre seduto. Ed egli ripeteva, dapprima timoroso e dubbioso, poi sempre più docile e franco, imitando alla perfezione, tanto che alla fine, chi ascoltava dal di fuori, non distingueva più quale delle due voci appartenesse all’uno o all’altro.
La teoria, i principi, le idee non bastavano. Soltanto l’esempio immediato poteva condurre a rimorchio le note che, per oltre 15 anni, erano abituate a una respirazione e a un attacco discutibili, per cui la colonna sonora subiva indecisioni e imprevedibili sorprese. Il primo anno della nuova esperienza diede buoni frutti, ma tuttavia incerti. Corelli aveva bisogno di sentire la voce dell’ultrasettantenne, capace in qualunque ora di lanciare suoni nitidi e sicuri, che destavano in lui curiosità e incredulità, quasi che si trattasse di un trucco o di un gioco di prestigio. Nel secondo autunno, l’esperienza fu rinnovata. I dubbi si dissiparono. Corelli riuscì a maturare le idee basandole sulla evidenza ormai riconfermata e assodata. Volle ascoltarmi anche nell’ “Ave Maria” di Gounod e in “Mercè, cigno gentil”. Ripetè e imitò, non senza esitazioni, cantando sul respiro.
Ma, tornato a New York, incise in dischi le varie romanze, eseguite secondo la nuova emissione con risultati incontestabili. Karajan, a Vienna, gli disse: “Cosa ha fatto? Lei è un altro Corelli. Magnifico”. Non è bello lettore, fare del bene spassionatamente, disinteressatamente, svelando segreti, scoperti in 45 anni di carriera? Tutti insegnano ma nessuno svela i propri misteri.>>

(da: “MUSICA E DISCHI”, dicembre 1967)

“La sera della mia prima Tosca è venuto ad intervistarmi un radiocronista della più importante stazione radiofonica d’America e del Canadà in lingua italiana. La domanda che mi ha posto è stata la seguente: “A che cosa deve Lei, Sig. Corelli, una carriera così longeva?”.
Al “longeva”, caro Commendatore, mi sono messo a ridere ed ho risposto: “Che cosa vuole che siano i miei quindici anni di carriera in confronto dei quaranta o più anni che hanno avuto “i grandi” dell’epoca d’oro della lirica?”.
- “No, Sig. Corelli, intendo dire che in questi ultimi anni, molti tenori, sono usciti e sono balzati in poco tempo alla popolarità, però, nel giro di pochi anni, si sono trovati nella parabola discendente, oppure, alcuni di questi, hanno già smesso di cantare. Quindi quello che volevo sapere da Lei, è, come fa a ritornare qui in America ogni anno, non solo in piena voce, ma direi, in forma sempre migliore?”.
“Caro Signore” ho risposto, “la Sua è una delle poche domande che mi piacciono e Le risponderò molto semplicemente. Il canto è un sacrificio e bisogna sacrificarsi per durare a lungo, ma la cosa più importante è trovare la strada e la mia strada sta in Spagna, Valencia, Giacomo Lauri Volpi.
Lei conosce questo famoso tenore, è lui che indica il cammino da seguire, un vocalizzo io, un vocalizzo lui, una frase io, una frase lui, e in questa maniera che si potrebbe definire una gara vocale io cerco di imitarlo e di rubare quanto più posso dalla sua splendida voce e dal suo ineguagliabile imposto”.
Questa in poche parole è stata la mia intervista sul palcoscenico del Met alla prima di Tosca.”
(da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 6 nov. 1968) 

 
Nel 1971 in un ultimo articolo corelliano scritto da G.Lauri-Volpi sulla rivista di Milano “MUSICA E DISCHI”, intitolato “ Werther o le insidie del ‘salto di settima’ ”, nel proseguire la testimonianza sulla relazione costante di studio e perfezionamento vocale tra Lauri-Volpi e Corelli, ecco quanto ci viene raccontato nel dettaglio :

<<Una telefonata urgente da New York a Valencia. E’ Franco Corelli, il quale s’accingeva a interpretare, per la prima volta nella sua carriera, il “Werther”, opera quanto mai impegnativa per qualunque tenore lirico, e oltremodo rischiosa per un tenore di tipo eroico, qual è il cantore anconetano, che mi onora della sua fiducia. Trovava difficoltà nella romanza “Pourquoi me reveiller, o souffle du printemps”, che esige mezze voci nella prima strofa, e slancio angoscioso, che rasenta la disperazione, nella seconda. Momento culminante, in cui “Werther” declama i “versi d’Ossian”, allusivi al suo stato d’animo.
I tenori lirici, eludendo l’intenzione dell’autore, eseguono allo stesso modo la prima e la seconda parte del brano, smorzando quell’ “O soffio dell’april” anche nella risoluzione che precede il finale dell’atto in cui “Werther” tenta di trascinare Carlotta all’amplesso fatale.
Corelli, che possiede, ora, una voce elastica, capace di filature e di sfumature, non aveva problemi da risolvere nell’eseguire fedelmente la partitura. Ma, ciò che lo rendeva esitante era quel salto di “settima” sulla vocale “e” (reveiller). Per telefono, a cinquemila chilometri di distanza, mi domandava quale fosse l’emissione più sicura di quella vocale, la cui incertezza lo rendeva dubbioso se dovesse, o non, rinunciare alla recita.
Tutti i salti di “settima” sono pericolosi per qualunque gola, anche la più dotata e privilegiata. Il segreto per superare l’ostacolo consiste nell’ “appoggiare” sul punto giusto di risonanza la nota inferiore e non sorvolarla per precipitarsi sull’acuta. Assicurata la prima, la seconda segue automaticamente per legatura. Nel telefono, ho fatto sentire a Corelli quell’emissione, dopo averne verbalmente dimostrato il motivo, in base alla teoria e alla pratica sulla quale, negli ultimi sette anni, abbiamo discusso applicandola con risultati positivi e benefici, alla sua voce.
Teoria e pratica che Maria Ros m’insegnò, con il suo magistero prezioso, salvando da fine prematura la mia voce. A riprova di tali mirabili e quasi prodigiosi risultati trascrivo una lettera che, in data 7 aprile di quest’anno, m’invia uno sconosciuto:
“Io, francese, di Parigi, mi trasferii in Italia, abbandonando tutto: famiglia, amici, lavoro, abitudini, per amore del canto. La vita non è stata facile, alla ricerca di una verità vocale che nessun maestro sembrava conoscere. Perdetti così, in breve tempo, ogni illusione di leggere il suo libro “A viso aperto” e successivamente “Misteri della voce umana”, “Voci parallele”. Questi libri sono stati il mio “Vangelo”. Adesso compio 36 anni e dirigo una scuola di canto dove cerco di mettere in pratica il Suo insegnamento, e posso dirle di avere già conseguito ottimi risultati.
E’ una cosa meravigliosa! E questo lo devo a Lei, cher Monsieur Lauri-Volpi, e non posso che gridarle la mia gratitudine: merci, merci. Ora la mia vita ha uno scopo, ed ho coscienza di essere utile. La Sua vita, la Sua carriera sono esempio altissimo per i giovani artisti di oggi, ed io intendo ad essi ricordarlo. Je vous souhaite toutes sortes de bonnes choses. En toute gratitude, votre dovoué Claude Thiolas, viale Monfenera, 25/A, Treviso, 7 aprile 1971.”
Davvero consolanti queste testimonianze sull’efficacia di un criterio d’arte che, nato nella mente di una cantatrice geniale, ha salvato numerose voci liriche dalla decadenza e indicato il cammino giusto a cantori e maestri di canto, ignari della “verità vocale” cui accenna il “francese di Parigi”.
Ma l’assiduo lettore di questa mia rubrica vorrà conoscere come ebbe a cavarsela l’amico Corelli nel “Werther”. Ecco, telegrafa lui stesso: “Mille auguri di buona Pasqua in ottima salute – seguirà mia lettera – Werther è stato grazie a lui uno splendido successo – io resto ancora commosso per questo miracolo – sono vicino con tutto il cuore – Franco”.
Mia moglie, dal Cielo, sarà felice della luminosa affermazione della sua dottrina, realizzata da una superba voce, che, al Metropolitan, continua a difendere la tradizione del primato artistico del vero “bel canto” italiano.>>

(da: "MUSICA E DISCHI", giugno 1971) 

cfr. "Tenori a confronto: Lauri-Volpi maestro di Corelli"

--> http://lauri-volpi-tecnicavocale.blogspot.com/2016/10/tenori-confronto-lauri-volpi-maestro-di.html


KRAUS
Alfredo Kraus racconta del suo incontro con Lauri-Volpi e della respirazione intercostale-diaframmatica, dalla Masterclass di Alfredo Kraus al Teatro Brancaccio, il 22 marzo 1990, a Roma:

« Io per esempio ho l'esperienza quando ho debuttato qui a Roma, ho conosciuto Lauri-Volpi, e sono andato a casa sua, tramite un amico (sa, questo amico era uno spagnolo, voleva essere sicuro, che lui non ne capiva molto, e voleva, non so, voleva star tranquillo, che le cose andavano bene) e mi portò da Lauri-Volpi, e Lauri-Volpi stesso mi accompagnò al pianoforte "Questa o quella" e "La donna è mobile" e dice: "Questa è la tecnica giusta, oggi non canta più nessuno in questo modo, però questa è la tecnica che si usava." E, l'unica cosa che mi ha raccomandato è di stare attento al repertorio, m'ha detto: "Per carità, Lei faccia sempre il suo repertorio, perché se Lei rimane in repertorio, con questa tecnica, Lei canterà a lungo." Perciò era uno che sapeva il fatto suo. (...) Io credo che Lauri-Volpi avesse una buona tecnica. (...)
E poi lui respirava in un modo perfetto, perché è stato lui a dirmi che la respirazione dovrebbe essere "intercostale-diaframmatica", per una semplice ragione, se io quando respiro apro le costole, la membrana elastica che è il diaframma si distende totalmente, si elasticizza al massimo, e diventa tesa, tesa il più possibile per appoggiare appunto la colonna d'aria, questo è importantissimo. Allora si respira, si aprono bene le costole, tutto attorno, e lì si appoggia la voce »

 
Testimonianza di Giuseppe Pietrarelli, tenore lirico-leggero che incontrò Lauri-Volpi a Valencia, Burjasot (Spagna) nelle estati del 1974, 1975 e 1976 :

«Nel tempo di vacanze andavo spesso in Spagna con mia moglie e volli conoscere il grande Lauri Volpi personalmente. Ci ricevette gentilissimo e molto felice di incontrare un connazionale e anche con mia moglie, perchè lui amava l’Olanda.

Mi chiese, se ero un tenore e dove e con chi avevo studiato. Poi si sedette al pianoforte e fece due acuti fulgidi, che ancora ricordo bene e mi disse: “Te li regalo, questo è Lauri Volpi!” e poi, “Ora canta tu per me”. Mi fece fare un paio di arpeggi, più o meno fino al do di petto.
Poi mi fece cantare “Caro mio ben”, la “Gelida manina” e parte di “Ella mi fu rapita”. Rimase un poco in silenzio e poi disse: "Hai una bella voce di tenore lirico leggero. Però non conosci bene il passaggio e non sai appoggiare bene la voce", e poi chiese se gradissi i suoi consigli. "Torna se puoi e cominceremo a lavorare insieme perchè hai un bel colore di voce e anche una buona estensione, potresti far bene il Barbiere di Siviglia" e vide la mia faccia un poco delusa e disse ancora, "guarda che lo cantavo anche io il Barbiere di Siviglia, perchè ero un tenore lirico leggero nei primi tempi."

La vocale per lui regina era la "A". La voleva leggera e chiara, non gonfia e non oscura, perchè affaticava la voce e avrebbe danneggiato gli acuti.
La voleva piccola, non larga, e sulle labbra avanti ai denti. Io non sapevo come fare e non capivo e allora lui mi disse "pronuncia una parola: Parmi". Io lo feci e lui mi chiese "Dove suona questa parolina?" ed io risposi "Sulle labbra" e lui disse "Questa è la posizione sulle labbra per la vocale A". E allora facemmo vocalizzi con la vocale "A". Ma preceduta dalla consonante "P", cioè "Pa" ecc. E la voce veniva bene, non grande e facile. "Col tempo farai anche senza la P, ma semplicemente con la A, perchè avrai capito", ma io sentivo, che proiettavo pure bene verso l’acuto, il suono verso la fronte e nel cranio, cioè gli armonici del petto verso gli armonici del cranio. Per me, tenore lirico leggero, il FA e il SOL, li voleva rotondi, ma il LA bemolle, diciamo coperto sempre.
Era secondo lui la saldatura perfetta per la mia voce, non forte, per altri tenori spinti o drammatici la saldatura cominciava dal MI centrale. Per me Lauri-Volpi era un dottore chirurgo della voce lirica, un uomo molto sapiente e capiva subito i pregi e i difetti di un cantante lirico per l’appoggio con l’esercizio con il "Pa". Capivo bene dove appoggiare, mi diceva di appoggiarmi sulla cintura e tutto intorno al corpo, ma senza violenza soffiare leggero, come un alito. Era il suo modo di parlare. Nelle romanze mi faceva esercitare su frasi come "Talor dal mio forziere" oppure su "Parmi veder le lacrime" e per i grandi acuti come "La speranza" della "Gelida manina", voleva un bel respiro profondo, bene appoggiato sulla cintura e poi cantare. Consigli: non esagerare, quando studiavo nel registro acuto, non gonfiare i centri e prima di cantare una romanza, prima di iniziare, formare mentalmente la melodia e poi cantare.
Poi i vocalizzi sempre dall'alto al basso, così scendendo, si trovava bene la maschera e l’appoggio diaframmatico toracico e così questa saldatura in tutta la gamma nelle due ottave veniva perfetta e non si sentirebbe questo cambio che molti cantanti fanno sentire.
 
Da lui venivano tanti artisti, lui diceva "una processione" tra cui Alfredo Kraus, di cui diceva che era bravo e curava il repertorio leggero, che Lauri Volpi gli diceva di non cambiare mai. Veniva il grande Franco Corelli, che Lauri Volpi ci diceva, che Corelli aveva abusato del diaframma e che doveva curare e riposare, ma che sarebbe stato il suo successore e poi veniva anche Luciano Saldari, mio compagno di scuola a Bologna da Melandri ecc, ecc. Di Luciano Pavarotti diceva, che cantava come un angelo, ma non è stato da lui. Ho seguito a lungo i consigli di Lauri Volpi, anche scrivendoci.

Mi ripeteva di studiare il repertorio leggero, come il "Barbiere di Siviglia" e mai debuttare con "Cavalleria rusticana", che mi avrebbe rovinato. Lui diceva, che dava solo consigli, ma poi insegnava con passione ed entusiasmo. Non voleva mai una lira, era un uomo generoso, coltissimo e nobile. Con lui si stava bene, era facile e allegro come un ragazzo. Io per la mia età avanzata, posso ancora cantare con facilità, ringraziando il grande Lauri Volpi e i suoi insegnamenti.»


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