lunedì 24 ottobre 2016

Tenori a confronto: Lauri-Volpi maestro di Corelli

Tenori a confronto: Lauri-Volpi maestro di Corelli.

Gentili amici e cantanti lirici, in quest’articolo vogliamo prendere in considerazione insieme il percorso vocale del grande bari-tenore Franco Corelli in relazione con il tenore assoluto Giacomo Lauri-Volpi (studente di canto prima con il celebre baritono ottocentesco Antonio Cotogni e poi con Enrico Rosati, insegnanti ai primi del Novecento del Conservatorio di Santa Cecilia in Roma) e la sua tecnica insuperabile!


In Carmen, all’Arena di Verona, nel 1961 Gabriella Panizza intervistando il giovane tenore Franco Corelli gli chiese: “Durante un’intervista, Lauri Volpi mi ha detto che vai spesso da lui per motivi di studio. Cosa ti colpisce di più in questo grande tenore?” Questa fu la risposta di Corelli:

“Purtroppo mi è stato possibile ascoltare Lauri Volpi [in teatro] solo poche volte. Me ne ricordo una con particolare emozione. Nel ’58, mentre stavo studiando “Turandot”, una sera mi recai a Caracalla per assistere a una recita dell’opera pucciniana interpretata da lui. Ho avuto un vero choc: la parte di Calaf fatta di squilli, di incisività, di canto eroico e di “bel canto” insieme, emergeva completa in tutto il suo fascino; e la prova di Lauri Volpi mi pareva insuperabile. “Turandot” era un’opera scritta per lui e forse per nessun altro. Per un anno chiusi lo spartito, convinto che non avrei mai potuto reggere al suo confronto. Un anno più tardi, spinto dalle continue pressioni degli impresari, accettai di portare in scena quest’opera. Ma l’interpretazione di Lauri Volpi mi è sempre rimasta davanti agli occhi”.

Nel 1963 Lauri-Volpi è al Teatro dell’Opera di Roma per ascoltare dietro sua specifica richiesta e invito (e per dare il proprio giudizio al quale Corelli tiene molto), “Il Trovatore”, con lui, la Udovic, la Danieli e Cornell McNeill. Il rapporto d’ascolto non è nuovo, perché Lauri-Volpi ha sempre seguito l’attività del collega, arrivando anche ad esprimersi con la famosa frase: “Se continua così, avremo un tenore in meno ed un baritono in più”. E Corelli fu un tenore umile che volle andare dal veterano ad apprendere i segreti del bel canto ottocentesco dei quali Lauri-Volpi era l’ultimo esponente vivente. 

Come ricorda Corelli stesso in un’intervista RAI tratta dalla trasmissione TV “Il protagonista” dell’aprile 1979: “Mi presentai da Lauri Volpi: mi ricevette nella sua villa di via Antonio Bosio (a Roma). Fu molto simpatico e cordiale. Mi ascoltò… diciamo che gli sono piaciuto. (…) Mi disse: “Senta, Corelli, forse ora non c’è tempo giacché vado a Valencia, in Spagna. Perché non viene con me? A Burjasot avremo modo di stare insieme e vedremo di concretare quello che mi chiede”. E così cominciò il mio “pellegrinaggio” a Burjasot. Il primo anno dieci giorni, il secondo venti, il terzo addirittura un mese. (…) Ecco come si faceva: io eseguivo una frase o un vocalizzo e lui immediatamente li riprendeva. Poi mi diceva: “Guarda, Franco, noi non ci dobbiamo fermare. Fino a che io non mi fermo, tu dovrai continuare perché solo così capirai che la nota, il vocalismo, la frase vanno bene”. E allora era un vocalizzo dietro l’altro, una frase dietro l’altra. (…) Sì, perché capitavano certe frasi che non so quante volte abbiamo rifatto (la frase della Bohème “…la speranza”) (…) Era una persona che amava le cose semplici, ma precise. Non infastidiva, ma non voleva essere infastidito. Se qualcuno gli tendeva la mano per avere qualche cosa, lui era subito pronto a dargliela, ad aiutarlo…”  


La fortuna e l'umiltà di Franco Corelli è racchiusa tutta in questa dichiarazione corelliana fatta a un intervistatore venuto ad ascoltare Tosca al MET con Corelli protagonista nel 1968: "La mia strada sta in Spagna, Valencia, Giacomo Lauri Volpi"!!!

Ecco la descrizione della vocalità di Lauri-Volpi nelle parole di Corelli, sempre tratta dalla sopracitata intervista RAI del ‘79:

“Lauri Volpi è un puro e raro esempio di vocalità; o, per meglio dire, di vocalità teatrale. Aggiungo pure che è un puro esempio di “imposto vocale”. Veniva da una grande scuola, quella di Garcia; la moglie - Maria Ros - aveva studiato con un parente di Garcia e gli aveva portato quel metodo.  Era una grande natura. Lui stesso si definiva “tenore lirico ma teatrale”. Teatrale, diceva, perché le voci liriche vanno ascoltate solo in teatro.
Lauri Volpi aveva una voce lunga come estensione, larga come poche e brillante in senso unico: non credo che ci sia stata una voce brillante come la sua. Ricordo un mio amico, un fan di Lauri-Volpi e di altri grandi artisti. Allora, negli anni Cinquanta, praticava la galleria del Teatro dell’Opera di Roma e mi diceva: “Io credo che Lauri Volpi sia stato l’unico cantante capace di far arrivare le vibrazioni della sua voce fino al loggione.” Non si parlava di voce, ma di vibrazioni della voce! Bastava vederlo cantare da vicino per comprendere come Lauri Volpi applicava in pieno quel famoso metodo di canto di cui tutti parlano, ma che nessuno applica; Lauri Volpi impersonificava quel metodo e la longevità della sua voce è stata la testimonianza che ciò che lui faceva era perfetto.”


Su MOMENTO-SERA, quotidiano del pomeriggio edito a Roma, Lauri-Volpi scrisse ben 217 articoli intitolati “Incontri e scontri”. In quello datato 3 ottobre 1963, ed intitolato “Vacanza di Corelli in terra spagnola”, egli nel paragrafo “Problemi del canto” scrive: << (…) le giornate valenciane degli amici Corelli non sono tutte trascorse in svaghi e curiosità turistiche. Si è pure studiato sodo, quasi con accanimento. (…) Egli [Corelli] è venuto a discutere problemi d’arte e di fonazione in piena sincerità e libertà: problemi che, non risolti nelle scuole, hanno portato alla paralisi del teatro lirico e alla perdita di voci bellissime dopo soltanto una decina d’anni di carriera. Corelli ha una voce che merita di durare a lungo, se non altro per rinverdire una tradizione che è stata abbandonata con la conseguente decadenza del melodramma. 


In dieci giorni, noi due ci siamo dati, anima e voce, a risolvere quei problemi seduta stante, durante circa due ore diarie (…) Vedevo la consorte del mio collega assiduamente attenta, sempre indaffarata a prendere appunti, a porre ogni tanto quesiti, a controllare quale delle soluzioni prospettate e dimostrate fosse la più convincente e evidente secondo le risonanze percepite. Ella ha approvato il modo di superare una difficoltà nella romanza della “Manon Lescaut” di Puccini che Corelli non ha ancora osato affrontare in pubblico, per timore di una sola frase: “A nuova vita l’alma mia si desta”. Il salto di “quinta” gli sembrava un ostacolo insormontabile, tra l’A e Nuo. (…) Nella Luisa Miller nella Turandot nel G. Tell nell’Aida nel Trovatore nella Bohème, la casa ha rintronato al bombardamento delle due voci. E la gente sostava sotto le finestre a sentirle. A poco a poco, negli ultimi giorni, sembravano una sola voce. E’ bello, stupendamente bello e onesto vedere due anime e sentire due voci che si fondono. Ma Corelli contesta: “E’ vero, adesso la mia voce si mimetizza con la sua, per suggestione e imitazione. Ma, lei assente, non ricadrò io nelle vecchie abitudini? Dovrei portare lei via con me, in una valigetta”. Scoppiamo tutti in una risata omerica.

L’importante è che Corelli abbia capito. Quando potrà studiare, da capo a fondo, un’opera mai prima cantata, egli saprà, alla luce della nuova esperienza, sottrarsi all’abitudine di una fatica eccessiva nell’emissione vocale. Del resto, ha avuto davanti a sé la viva voce di un uomo che durò a lungo sulla scena lirica e serba intatte le proprie capacità. >>


Così si espresse Lauri-Volpi, con la sua 'voce enciclopedica' dedicata a Corelli, nella "Enciclopedia della Musica" Ricordi del 1963, nei confronti del famoso tenore di Ancona che fu suo allievo:

CORELLI FRANCO, nome d'arte di Dario C. (n. Ancona 8 IV 1921). Tenore. Di complessione aitante ed erculea: una specie di atleta di tipo classico, che dalla figura ha tratto non pochi vantaggi per affermarsi tra i tenori quotati della giovane generazione. Viene dalla selezione che ogni anno la scuola di avviamento di Spoleto compie al fine di rinnovare i quadri dei teatri sovvenzionati. Ha esordito all'Opera di Roma con la "Carmen" di Bizet, partitura che mette a dura prova la voce e i nervi di un artista, non che esordiente, consumato. Le difficoltà troppo presto sperimentate, hanno lasciato nell'animo del tenore un senso di indecisione, per ciò che concerne la tecnica del "passaggio" dalla regione media dei suoni all'acuta. Ma non gli hanno impedito di svettare nel registro più decisamente alto, dal la bemolle al do naturale sopra le righe. Egli confessa nelle sue interviste di aver assicurato tali note studiando sui dischi di un suo collega della vecchia guardia e di aver potuto, in tal guisa, affrontare l' "Aida", il "Trovatore", il "Poliuto", la "Turandot", grazie e appunto all'imitazione esercitata con assiduità e con passione. In questo periodo, tra il 1955 e il 1962, è l'unico tenore che esegue quel rischioso repertorio nei teatri più importanti del mondo. Ora si propone di scoprire il metodo che porta a emettere con spontaneità e libertà le note medie e le due intermedie: fa diesis e sol acuto. Senza le quali egli sente di non poter cimentarsi in opere della contestura dell' "Otello" verdiano e del "Sansone e Dalila" di Saint-Saëns. La sua voce comprende le due ottave prescritte. E' greve nel centro e squillante nell'acuto. L'intima incertezza obbliga l'artista a trascurare alquanto l'interpretazione del personaggio e le esigenze della scena. Il che non avverrà quando la sicurezza della fonazione, in tutta la gamma, gli darà agio di distribuire la sua attenzione a tutti gli aspetti dell'esecuzione operistica. Ha tempo davanti a sé e la penuria di buone voci faciliterà il suo compito. Egli è pienamente cosciente del cammino da percorrere e dei problemi da risolvere. Studioso e ambizioso, oltreché fortunato: qualità e circostanze che forse gli permetteranno di toccare le mete a cui tende con vita sobria e guardinga. La cura da lui rivolta all'abbigliamento sfarzoso e la ricerca dell'effetto scenico lo additano alla fervida curiosità del pubblico giovanile, quello ancora entusiasta dell'opera lirica.

Dello stesso "tenore" la descrizione di Rodolfo Celletti, grande amico e ammiratore di Lauri-Volpi, nel suo "Le grandi voci", pubblicato dall'Istituto per la collaborazione culturale nel 1964, che così si esprime a proposito di Corelli:

<<Ad onta della rapidità con cui era giunto ai grandi teatri, Corelli diede in quegli anni l'impressione di dovere la propria fama più ad una eccezionale prestanza fisica che a spiccate qualità di cantante. Prescindendo infatti dal colorito baritonaleggiante e dalle caratteristiche del timbro - alquanto ruvido e nemmeno troppo lucente -, Corelli puntava sull'ampiezza del suono, già allora notevole, gonfiando artificialmente il medium e la zona di passaggio e forzando già sul la naturale acuto: il che rendeva il canto duro, poco vario e fondamentalmente inespressivo. (...) è riuscito nell'intento di succedere, nel repertorio, al cantante sul cui modello, dapprima attraverso i dischi, quindi dalla viva voce, egli ha gradualmente modificato la propria emissione: e cioè al già citato Lauri-Volpi. Questo non significa, tuttavia, che in Corelli debba scorgersi un "belcantista" o un virtuoso, nel senso tradizionale del termine. (...) Vocalmente, Corelli sfoggiò un'ampiezza e una vigoria di fraseggio impressionanti, ma, insieme, anche una fonazione accortamente alleggerita nel medium ed in grado, perciò, di sfociare sia in suoni morbidi e modulati, sia in estremi acuti sicuri, fermi e di grande espansione.

Data da allora la definitiva disponibilità di Corelli per le riesumazioni di opere come il "Poliuto" (Scala, dic. 1960) o come gli "Ugonotti" (Scala, mag. 1962), entrambe eseguite con esito largamente positivo (...)>>


Anche in una rara intervista a Corelli dei primi anni '60 alla radio francese, fatta intorno al periodo in cui uscì in Francia il suo LP di "Arie e canti religiosi" registrato nel 1963, il tenore marchigiano confermò testualmente il suo annuale rapporto di studio con il tenore Giacomo Lauri-Volpi, che in un semplice francese dichiarò: “Vado tutti gli anni a Valencia, in Spagna, per lavorare con il grande tenore Giacomo Lauri-Volpi che vive laggiù”!!!


 Qualche anno più tardi, apparve poi anche un successivo articolo di Lauri-Volpi uscito sulla rivista di Milano “MUSICA E DISCHI”, numero 258, del dicembre 1967, intitolato “A lezione dal veterano (Franco Corelli)”! Ed ancora sempre su Musica e Dischi, numero 300, del giugno 1971, un ultimo articolo volpiano intitolato “Werther o le insidie del ‘salto di settima’ (Franco Corelli)”. Fu un rapporto continuativo!!!


Dal primo articolo volpiano del 1967, riportiamo questo stralcio centrale: 

<<Debbo parlare di me, perchè Corelli, nell’autunno del 1963 e nel successivo del 1964, venne a farmi visita, con la consorte, qui, nel mio rifugio spagnolo. Si trovava in piena angosciosa crisi di coscienza artistica circa la tecnica dell’emissione vocale e della respirazione cantata. Crisi di coscienza, che si rifletteva sulla sua struttura fisica e il suo stato psicologico, che lo induceva, nella pienezza della rinomanza e dei giovani anni, alla delusione e al pessimismo. Imperversava la baraonda dei festival e delle voci strampalate di esseri strani che gareggiavano nello strillo, nella sciatteria del suono e delle parole, rispettando soltanto un ritmo incalzante: ritmo spietato come una maledizione. Nell’800 emersero i “poeti maudits”; ma tra essi svettavano geni luminosi, creatori di versi fragranti di melodia verbale: un Baudelaire, un Verlaine, un Rimbaud: “fiori del male”, ma carichi di effluvi inebrianti. In questo caotico ‘900, pullulano gli “chanteurs maudits” che imprecano, protestano, si drogano, si suicidano e fanno scempio di corpi e di anime. 

In tanto trambusto, anche il più accorto e affermato servitore del Melodramma avrebbe subìto un opprimente sconcerto; una specie di “dubbio logico” ed anche “metafisico”. Corelli temeva di smarrire la diritta via. Alcune note di famose romanze sfuggivano al suo controllo. Ed era sul punto di non poter più contare su di sé e il suo avvenire. Decise allora di recarsi a interrogare un veterano che conobbe l’epoca aurea del canto. E venne qui con la sua Ferrari, immagine della fretta esistenziale. Anche Corelli aveva fretta: fretta di scrutare, sapere, conoscere per decidere se dovesse continuare o smettere. Il caso era pressante e, insieme, singolarmente patetico. Si trattava di distruggere un intimo “complesso” a furia d’immediata reazione e con un bombardamento mattutino di prove e riprove, imitazioni, discussioni, esempi. Per quindici giorni, tre ore al giorno, dalle undici alle due, mi sottoposi, accompagnandomi al piano (la fotografia lo dimostra) all’improba fatica di eseguire le più famose, ed aspre per tessiture, romanze del repertorio: dal “Guglielmo Tell” ai “Puritani”, dalla “Gioconda” agli “Ugonotti”, dalla “Turandot” alla “Manon” pucciniana. Sempre a voce spiegata, sempre seduto. Ed egli ripeteva, dapprima timoroso e dubbioso, poi sempre più docile e franco, imitando alla perfezione, tanto che alla fine, chi ascoltava dal di fuori, non distingueva più quale delle due voci appartenesse all’uno o all’altro.

La teoria, i principi, le idee non bastavano. Soltanto l’esempio immediato poteva condurre a rimorchio le note che, per oltre 15 anni, erano abituate a una respirazione e a un attacco discutibili, per cui la colonna sonora subiva indecisioni e imprevedibili sorprese. Il primo anno della nuova esperienza diede buoni frutti, ma tuttavia incerti. Corelli aveva bisogno di sentire la voce dell’ultrasettantenne, capace in qualunque ora di lanciare suoni nitidi e sicuri, che destavano in lui curiosità e incredulità, quasi che si trattasse di un trucco o di un gioco di prestigio. Nel secondo autunno, l’esperienza fu rinnovata. I dubbi si dissiparono. Corelli riuscì a maturare le idee basandole sulla evidenza ormai riconfermata e assodata. Volle ascoltarmi anche nell’ “Ave Maria” di Gounod e in “Mercè, cigno gentil”. Ripetè e imitò, non senza esitazioni, cantando sul respiro.

Ma, tornato a New York, incise in dischi le varie romanze, eseguite secondo la nuova emissione con risultati incontestabili. Karajan, a Vienna, gli disse: “Cosa ha fatto? Lei è un altro Corelli. Magnifico”. Non è bello lettore, fare del bene spassionatamente, disinteressatamente, svelando segreti, scoperti in 45 anni di carriera? Tutti insegnano ma nessuno svela i propri misteri.>>


Nel secondo articolo volpiano del 1971, racconta quanto segue:

<<Una telefonata urgente da New York a Valencia. E’ Franco Corelli, il quale s’accingeva a interpretare, per la prima volta nella sua carriera, il “Werther”, opera quanto mai impegnativa per qualunque tenore lirico, e oltremodo rischiosa per un tenore di tipo eroico, qual è il cantore anconetano, che mi onora della sua fiducia. Trovava difficoltà nella romanza “Pourquoi me reveiller, o souffle du printemps”, che esige mezze voci nella prima strofa, e slancio angoscioso, che rasenta la disperazione, nella seconda. Momento culminante, in cui “Werther” declama i “versi d’Ossian”, allusivi al suo stato d’animo.

I tenori lirici, eludendo l’intenzione dell’autore, eseguono allo stesso modo la prima e la seconda parte del brano, smorzando quell’ “O soffio dell’april” anche nella risoluzione che precede il finale dell’atto in cui “Werther” tenta di trascinare Carlotta all’amplesso fatale.

Corelli, che possiede, ora, una voce elastica, capace di filature e di sfumature, non aveva problemi da risolvere nell’eseguire fedelmente la partitura. Ma, ciò che lo rendeva esitante era quel salto di “settima” sulla vocale “e” (reveiller). Per telefono, a cinquemila chilometri di distanza, mi domandava quale fosse l’emissione più sicura di quella vocale, la cui incertezza lo rendeva dubbioso se dovesse, o non, rinunciare alla recita.

Tutti i salti di “settima” sono pericolosi per qualunque gola, anche la più dotata e privilegiata. Il segreto per superare l’ostacolo consiste nell’ “appoggiare” sul punto giusto di risonanza la nota inferiore e non sorvolarla per precipitarsi sull’acuta. Assicurata la prima, la seconda segue automaticamente per legatura. Nel telefono, ho fatto sentire a Corelli quell’emissione, dopo averne verbalmente dimostrato il motivo, in base alla teoria e alla pratica sulla quale, negli ultimi sette anni, abbiamo discusso applicandola con risultati positivi e benefici, alla sua voce.

Teoria e pratica che Maria Ros m’insegnò, con il suo magistero prezioso, salvando da fine prematura la mia voce. A riprova di tali mirabili e quasi prodigiosi risultati trascrivo una lettera che, in data 7 aprile di quest’anno, m’invia uno sconosciuto:

“Io, francese, di Parigi, mi trasferii in Italia, abbandonando tutto: famiglia, amici, lavoro, abitudini, per amore del canto. La vita non è stata facile, alla ricerca di una verità vocale che nessun maestro sembrava conoscere. Perdetti così, in breve tempo, ogni illusione di leggere il suo libro “A viso aperto” e successivamente “Misteri della voce umana”, “Voci parallele”. Questi libri sono stati il mio “Vangelo”. Adesso compio 36 anni e dirigo una scuola di canto dove cerco di mettere in pratica il Suo insegnamento, e posso dirle di avere già conseguito ottimi risultati.

E’ una cosa meravigliosa! E questo lo devo a Lei, cher Monsieur Lauri-Volpi, e non posso che gridarle la mia gratitudine: merci, merci. Ora la mia vita ha uno scopo, ed ho coscienza di essere utile. La Sua vita, la Sua carriera sono esempio altissimo per i giovani artisti di oggi, ed io intendo ad essi ricordarlo. Je vous souhaite toutes sortes de bonnes choses. En toute gratitude, votre dovoué Claude Thiolas, viale Monfenera, 25/A, Treviso, 7 aprile 1971.”

Davvero consolanti queste testimonianze sull’efficacia di un criterio d’arte che, nato nella mente di una cantatrice geniale, ha salvato numerose voci liriche dalla decadenza e indicato il cammino giusto a cantori e maestri di canto, ignari della “verità vocale” cui accenna il “francese di Parigi”.

Ma l’assiduo lettore di questa mia rubrica vorrà conoscere come ebbe a cavarsela l’amico Corelli nel “Werther”. Ecco, telegrafa lui stesso: “Mille auguri di buona Pasqua in ottima salute – seguirà mia lettera – Werther è stato grazie a lui uno splendido successo – io resto ancora commosso per questo miracolo – sono vicino con tutto il cuore – Franco”.

Mia moglie, dal Cielo, sarà felice della luminosa affermazione della sua dottrina, realizzata da una superba voce, che, al Metropolitan, continua a difendere la tradizione del primato artistico del vero “bel canto” italiano.>>

Nell’intervista radiofonica condotta dal critico musicale Bruno Spoleti, amico di Corelli, avvenuta nel 1992, Corelli stesso rivela che andò per una dozzina d’anni da Lauri-Volpi sia per studiare nuovo repertorio tenorile che per sistemare tante fondamentali questioni tecnico-vocali irrisolte. 


Ammissione corelliana confermata anche in un’altra intervista a Corelli condotta in inglese da Stefan Zucker sempre degli inizi degli anni ’90: “Each year for thirteen years I spent a month in Valencia studying with him. He was very cultivated and interesting, wrote many books and had the memory of a twenty-year-old, describing his debut in Manon as if it had been the day before. I had confidence that he knew his technique.”

(“Ogni anno, per tredici anni, ho passato un mese di tempo a Valencia studiando con lui. Era una persona molto colta e interessante, aveva scritto vari libri ed aveva la memoria di un vent’enne, descrivendo il suo debutto in Manon come se fosse avvenuto il giorno prima. Confidavo nel fatto che egli conoscesse la sua tecnica.”)

Sappiamo, tra l’altro, che anche la moglie di Volpi, il soprano Maria Ros, ebbe un influsso non trascurabile sulla voce di Corelli. Infatti, nell'articolo di Lauri-Volpi intitolato "Maria Ros, maestra d'arte e di vita", apparso su “Musica e Dischi” dell’ottobre 1970, sottolinea anche l'apporto della moglie alla vocalità di Corelli, quando afferma: "Maestra d'arte fu, dunque, Maria Ros e alla sua scuola non solo si maturò la voce di Lauri Volpi, ma da essa trassero gli auspici le voci di Lily Pons e di Franco Corelli, che fruirono dei suoi consigli, indirizzi e insegnamenti, del tutto disinteressati."

Pietro Caputo, nel suo libro "Cotogni, Lauri Volpi e... Breve Storia della Scuola vocale romana", Bongiovanni, 1980), afferma che:

"...va dato atto a Franco Corelli di aver dimostrato una singolare intelligenza e di aver fatto uso di un profondo senso autocritico, poiché invece di adagiarsi sugli allori che le scene liriche sembravano dispensargli con straordinaria generosità, seppe individuare le sue debolezze tecniche e con lungo studio e con assidue ricerche seppe portare il suo organo vocale ad un'assoluta padronanza espressiva. Non è certo da sottovalutare, in questa splendida evoluzione della vocalità di Corelli, la presenza stimolante e galvanizzante di Giacomo Lauri-Volpi, il suo luminoso esempio, i suoi insegnamenti."

Il fatto è che durante la sua carriera Corelli, come risulta in modo incontrovertibile dal carteggio delle lettere scambiatesi per anni tra Corelli e Volpi, dovette combattere tra due estremi, la tendenza ad una emissione di suono basata sul tentativo di costante controllo della laringe, lavorando sull'ingrossamento del volume e sull'inscurimento del timbro della scuola di Melocchi, e una emissione di suono alta, vale a dire la “voce di testa” della tradizionale scuola italiana di canto lirico usata da tutti negli anni della “Golden Age”, cioè l’età d’oro della lirica, basata sull'appoggio e sostegno della respirazione diaframmatico-costale e il suono in maschera, senza toccare la gola e lasciando completamente libera di lavorare da sola la laringe.

Ricordiamo che, contrariamente a quanto si sente dire solitamente, non si può considerare Corelli allievo di Melocchi; Corelli, andò da Melocchi solo due volte, come egli stesso afferma nell’intervista con il basso Jerome Hines, e ricevette delle lezioni tecniche di base dall’amico Carlo Scaravelli, un allievo di Melocchi, nell’anno 1949, per il resto fu sostanzialmente un autodidatta fino a quando non incontrò Volpi.

Era normale che, dopo aver cominciato con la mentalità e l’approccio pratico della rigida tecnica melocchiana, Corelli poi avrebbe avuto problemi nel continuare lungo la carriera, specie nell’affrontare nuove opere che rendono impossibile, se si vogliono eseguire le continue richieste di mezze voci e piani e pianissimi prescritte dai compositori, l’uso del metodo di Melocchi-Del Monaco, come per esempio Bohème di Puccini studiata meticolosamente con Lauri-Volpi, come tante altre opere che non avrebbe potuto risolvere da solo con quella tecnica basata sull’abbassamento costante della laringe, ed un canto muscolarizzato, con conseguente inscurimento innaturale della voce umana.


E tale questione della rigidità dell’emissione e di un metodo che non permette di modulare la voce e di emettere mezze voci e piani non è una personale interpretazione dei fatti, è un fatto certo, sostenuto e spiegato dallo stesso Corelli il quale ammette la manchevolezza di tale metodo melocchiano-delmonachiano. Infatti, in un'audio-intervista del 5 dicembre 1990, condotta da Stefan Zucker, Corelli ammette le seguenti pecche dell’allievo di Melocchi, Mario Del Monaco:

<<“Zucker: What didn’t you like in Del Monaco’s singing?

“Corelli: He produced sounds not entirely suitable for his throat and louder than his volume. He exaggerated, striving to produce 110 percent of the sound that he had. The laryngeal method often leads to muscular singing.

“Zucker: What are the bad effects of muscular singing?

“Corelli: It can lead to difficulty with sweet passages, mezze voci and diminuendos.>>

(<<“Zucker: Cosa non ti piaceva nel canto di Del Monaco?

“Corelli: Produceva suoni non del tutto idonei alla propria gola e più forti del suo volume. Esagerava, sforzandosi di produrre il 110 per cento del suono che aveva. Il metodo della laringe molto spesso porta ad un canto un po’ di forza, un canto muscoloso, muscolare.

“Zucker: Quali sono i cattivi effetti del canto muscolare?

“Corelli: Può portare ad avere delle difficoltà nel canto dolce, nel canto a mezza voce e nella riduzione dei suoni, nei diminuendi.>>)

Si ascolti attentamente cosa afferma Corelli, in modo assolutamente corretto, sui difetti del canto muscolare di laringe di Del Monaco, dal minuto 4.50 in poi di questa intervista del 1990 !


In un’altra audio-intervista di pochi mesi prima, del 9 giugno 1990, sempre condotta da Stefan Zucker, Corelli specifica cosa pensasse il suo “maestro” Lauri-Volpi del canto di Del Monaco: 

<<Zucker: What then did he make of Del Monaco’s singing? Did he find it muscular?

Corelli: He thought exactly that — that Del Monaco’s singing was not only muscular but also that he broke legato, had insufficient sweetness, an insufficient mezza voce and didn’t do enough diminuendos, that he couldn’t observe composers’ markings.>>

(<<Zucker: Cosa dunque ne pensava del canto di Del Monaco? Lo trovava muscolare?

Corelli: Egli pensava esattamente questo — che il canto di Del Monaco fosse non solo muscolare ma che spezzasse il legato, che avesse insufficiente dolcezza, un’insufficiente mezza voce e che non facesse abbastanza diminuendi, che non potesse osservare le indicazione dei compositori.>>)

Una gran “natura” (con qualche infarinatura di un metodo non propriamente naturale né morbido) e un gran talento per il canto consentirono comunque a Corelli di iniziare la carriera, ma non avrebbe potuto continuare a lungo così senza un valido aiuto, e fu davvero fortunato a trovarlo nel grande Veterano!

Uno dei cardini del metodo di Volpi era quello di “non pressare nei centri”, come viene sintetizzato bene sempre da Corelli, intervistato da Zucker:

<<I visited Lauri-Volpi at his home at Burjasot, near Valencia, to ask him for advice about my singing. He thought my voice was too heavy and that I compromised my ability to have a good climax on high notes by singing my center too loudly. He wanted my voice to float more. (...)

He would say, “Corelli, remember, the aria is three or four minutes long. In ninety-five percent of the cases the high note is at the end. The more you push in the middle voice the more difficulty you’ll have on the high note. When you do the high note well the public applauds. When you don't it doesn't.”>>

(<<Andai a trovare Lauri Volpi a casa sua a Burjasot, vicino a Valencia, per chiedergli dei consigli sul mio canto. Riteneva che la mia voce fosse troppo pesante e che, cantando nel centro troppo forte, io mi pregiudicassi la possibilità di raggiungere un autentico apice negli acuti. Voleva che la mia voce galleggiasse maggiormente. (...)

Egli mi diceva, “Corelli, ricorda, un'aria dura tre o quattro minuti. Nel novantacinque per cento dei casi l'acuto è alla fine. Più spingi nella voce media più difficoltà avrai sull'acuto. Quando fai bene l'acuto il pubblico applaude. Quando non lo fai bene non applaude.”>>)

(da un'intervista a Franco Corelli, condotta da Stefan Zucker nel programma "Opera Fanatic", del giugno 1990)
Ecco alcuni illuminanti stralci che abbiamo scelto dalle lettere di Corelli spedite a Lauri-Volpi tra il 1962 e il 1973, giunte a noi in fotocopia, che siamo sicuri faranno molto riflettere gli studenti di canto, principianti e più avanzati, gli insegnanti di canto e i cantanti professionisti in attività, così come i pianisti accompagnatori, i professori d’orchestra e i direttori d’orchestra:

“Carissimo Commendatore, era mio avviso parlarLe questa mattina, per salutarla e ringraziarla ancora per quella morbidezza che Lei mi ha procurato nel registro acuto.
Scusi se entro subito in argomento, ma il mio riconoscimento è talmente forte che esplode appena ho la penna in mano. (…) Vede, caro Commendatore, è troppo bello studiare con Lei, perché si sente veramente che la voce sale al… cielo. (…) Spero tanto che Lei mi conceda nella prossima estate un poco del Suo tempo per godere la Sua compagnia e quella della tanto cara Signora Maria.
Non saranno tanti i giorni che la disturberemo, ma penso che saranno egualmente sufficienti, perché Lei oltre il dono di una insuperabile voce ha il potere di sapere comunicare direttamente con chi è ansioso di ascoltare i Suoi consigli, in maniera perfetta.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi non datata - Metropolitan Opera 39 Street)
“Ho aspettato a scriverLe fino a questo momento e cioè dopo sei recite di Trovatore per poterLe fare un resoconto più completo di quello che ho imparato da Lei e di quello che ho potuto mettere in pratica.
Ogni sera, per queste sei recite, ho sempre cambiato qualche cosa e in ognuna mi sono avvicinato sempre più alla strada a cui Lei tanto generosamente mi ha indirizzato.
Una delle note che ne ha veramente beneficiato è il si bemolle del “Ah si ben mio”. Mentre prima lo facevo grosso, forzato e piuttosto opaco, ora per un 70 % lo faccio di maschera e di squillo. Così pure le frasi del 2° atto duetto con la madre “Scenderà dell’empio cor” lo risolvo con molta morbidezza senza costringere eccessivamente le note con la durezza della mascella e la scurezza delle vocali.
Quello che ancora non ho risolto è “o teco almeno” - forse perché apro eccessivamente il fa diesis e allora sento chiaramente la nota rimanermi attaccata al piano e non salire in testa. Però a parere di mia moglie sono migliorato rispetto a quelli di Roma.
Ho trovato un discreto beneficio nelle note di centro che in un certo senso tengo più leggere e più chiare cercando di togliere quella scoria che mi dava pesantezza e opacità.
Però, caro Commendatore, per quanto faccia, per quanto mi adoperi, in ogni senso, non sono sempre sicuro della posizione esatta e questo non Le dico quanti patemi d’animo mi dà. Certo tutto era tanto semplice e tanto facile con Lei, nella sua bella villa di Valencia e le assicuro che non sogno altro che torni presto il settembre, onde poter ritornare da voi per una quindicina di giorni e ristudiare con lo stesso accanimento a quattro, sempre che a Lei questo non rechi eccessivo disturbo e che le mie mille domande e le mie mille ripetizioni non disturbino la Sua quiete e la Sua tranquillità.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi non datata, facilmente collocabile all’agosto 1962 a motivo delle sei recite del Trovatore che furono eseguite a Salisburgo con Karajan - Hotel Sacher, Wien I, PhilarmonikerStrasse 4)
“Avrei già dovuto scriverLe il mio grazie, ma avrei dovuto avere la Sua penna per potervi dare la sensazione esatta di quello che abbiamo provato nel nostro soggiorno a Valencia o meglio Burjasot.
Tutto è stato meraviglioso. Sono diversi giorni che io penso di dirvi con semplici parole la nostra gratitudine per le ore passate insieme, per le squisite cortesie usateci, per quel “FUOCO SACRO” stabilitosi tra noi quattro ad ogni lezione fatta e soprattutto per l’entusiasmo che metteva in noi ogni Sua nota piena di squillo, che ancora mi ronza nelle orecchie e che invano cerco ora di rincorrere nel ricordo.
E’ chiaro che oggi sono più confuso che mai inquantoché il ricordo dei vocalizzi fatti insieme, del mezzo sorriso, del punto in mezzo agli occhi ecc. per me sono tutte cose che messe insieme mi riempiono di problemi non avendo più chi seduta stante me li risolveva.
Una cosa è certa, che non potrò mai ringraziarLa abbastanza. Le parole in corso sono poca cosa a dimostrazione del mio sentire in confronto alla di Lei pazienza e al Suo entusiasmo dimostratomi nell’insegnamento e nell’impossibilità di farlo mi limito a dirLe con tutto il cuore quanto io le sia riconoscente di avermi aperto gli occhi su quelle altezze di suono, che spero con il ricordo, la volontà e l’insistenza di mettere sufficientemente a fuoco. Spero un giorno di poter Loro ricambiare l’affettuosa ospitalità e fin da ora Le dedico la mia prima Cavalleria rusticana il 7 di dicembre, in apertura alla Scala, quale omaggio non solo al Suo grande Turiddu, ma al mio grande Maestro.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata Milano, 14.9.1963)
“I Suoi consigli sul Suo sistema sono arrivati al momento giusto, perché stavo preparandomi in Gioconda e quindi mi hanno ancora una volta schiarito le idee. Il Suo miracoloso “la – la – la – la -  la” vaga per tutte le sale del Metropolitan.
Ora, realtà romanzesca, sto per debuttare in La Bohème. Ricorda la “Gelida manina”, cantata dal sottoscritto nella Sua bella casa a Burjasot - quante difficoltà da superare.
Comunque mi proverò anche in questa Sua preferita e poi Le saprò dire.

Finora ho fatto Il trovatore, Aida e La Gioconda, tutte andate felicemente. Mi attendono La Bohème, Tosca, Pagliacci, Cavalleria rusticana e questo è il guaio serio di saltare da un repertorio all’altro. In questa maniera non si conquistano certo delle posizioni, ma si moltiplicano i difetti.
Le scriverò subito dopo La Bohème per raccontarLe tutte le mie conquiste e tutte le mie incertezze.
Speriamo che possa mettere qui soprattutto a profitto i Suoi consigli.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata N.Y., 27.2.1964)
“Ieri ho avuto l’antigenerale di Turandot che è andata bene. Mi hanno trovato ancora migliorato dall’anno scorso e per la prima volta ho visto il coro venirmi incontro sinceramente soddisfatto. Questa sera generale. Mi ci vorrebbe(ro) un SI di Lauri e un DO di Volpi per farmi stare più tranquillo. (…) Mi sto allenando con il Suo metodo che sempre più mi soddisfa.
Mi alleno sui fa diesis di “Cigno gentil” e su quelle famose frasi di Guglielmo Tell “mio padre ahimé mi malediva ed io la patria allor tradiva” che provammo tante volte insieme, ma solo su queste senza toccare gli acuti.
Ho davanti a me la Sua maschera, con il mento tutto rilasciato, pronto a scandire ogni sillaba senza la minima contrazione e negli orecchi la Sua estrema facilità del suo parlar cantando. Faccio queste frasi, sempre senza forzare (benché le ripeta tante e tante volte) per abituarmi a scandire le parole in quei famosi sol naturali, poiché come Lei sa, presento proprio qualche neo nel suono parlato.
Però, con tutta sincerità e soddisfazione posso dirle che sto acquistando terreno di volta in volta. Prova ne sia che i complimenti che mi hanno fatto vanno anche verso una certa mezza voce che io adopero in funzione sia per colorire il pezzo sia per il risparmio di cui Lei tanto mi ha parlato. Che Dio mi aiuti a continuare così.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata Milano, 4.12.1964)

“Molte cose ho da dirLe e per primo fra tutte che le recite di Turandot sono andate tutte di bene in meglio. Le ultime due poi mi hanno avvicinato ancor di più al Suo metodo e di questo ne sono particolarmente fiero perché mi sembra che mi si apra uno spiraglio verso nuove conquiste (nel) repertorio. Questo mio progresso è stato riconosciuto da tutti e sono pienamente convinto che ritornando da Lei potrò ancora “rubare” altri segreti che mi daranno ancora maggiore facilità e sicurezza. (…) Certa è un cosa, caro Commendatore, che se Lei fosse in Italia oggi non si salverebbe dalla quantità di gente che vorrebbe sentirLa e venire da Lei per consigli.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 21 gennaio 1965, su carta intestata “on board Alitalia’s jet”)
“Ho finito ieri sera l’ultima Turandot della stagione e sono felice che sia stata l’ultima perché ritengo che troppe Turandot non facciano bene alla voce.
Non so cosa dirLe, se non che mi sono trovato più a mio agio delle altre volte e logicamente con una resa maggiore. Così pure posso dirle per la “Forza del Destino” (in edizione integrale per il tenore) che è stata di grande soddisfazione per me.”
I Suoi consigli sono all’ordine del giorno ed io li seguo continuamente.
Tra una settimana cominceremo le prove dell’Ernani e purtroppo per me, ne dovrò fare ben sette recite. Sono convinto che essendo un’opera centrale certo non mi favorirà nello studio di portare la voce in alto, così efficacemente spiegato da Lei, e in questo modo avanti piano piano fino ad arrivare alla famosa recita con la Callas.
Oggi indubbiamente sono più tranquillo nell’emissione, perché togliendo quella costrizione a forzatura delle note di passaggio riesco ad essere più padrone della situazione. Certo è, che più vedo chiaro avanti a me, più ho il desiderio di poter confrontare queste note con la Sua infallibile emissione.
Mi stanno proponendo in continuazione due opere - Rigoletto e Manon Lescaut.

Creda, sono seriamente preoccupato perché non ho il tempo di prepararle e data la loro difficoltà non posso assolutamente fare una preparazione sommaria ed affrettata. Comunque è una cosa che maturerà di pari passo al mio nuovo imposto, ma certamente il Rigoletto avrà la precedenza, se Lei mi aiuterà. (…) Non so se a quest’ora Lei avrà ricevuto i dischi, ma Le sarei veramente grato se in una Sua prossima, sempre che Le faccia piacere, mi dirà la Sua opinione schietta e faccia le osservazioni che desidera farmi, sicuro che queste mi aiuteranno molto in attesa certo di poter fare il commento insieme quando verrò a Valencia questa estate.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 20 febbraio 1965)
“Mi sono dimenticato nella mia precedente di toccare l’argomento libro.
Vorrei pregarLa affettuosamente di rivedere una volta ancora la possibilità di fare questo libro e se non in questi primi anni forse per il prossimo futuro che potrà essere quando a Lei piacerà meglio, onde dare la soddisfazione che io provo, ogni qualvolta vengo da Lei, anche a quelli che non hanno e non potranno avere la mia stessa fortuna. Con questo non voglio insistere andando, con le mie parole, contro un Suo desiderio o una Sua volontà ma forse, qualora Lei cambiasse idea, sono sicuro che molti Le saranno obbligati per la vita. Penso che l’Editore Cappelli sarà sempre a Sua disposizione (in) qualunque momento Lei vorrà.
E’ vero quanto Lei dice che ci sono chiarificazioni nel Suo libro “Voci parallele”, ma una Sua pubblicazione sull’esatta emissione di tutto quello che concerne gola, voce, parola, altezza di suono… e tutto quello che continuamente Lei dice a me, oltre che essere di (f)ortissima cultura, è di una visibilità perfetta nel Suo magnifico modo di esprimersi nell’insegnamento, cosa oggi assolutamente difficile da riscontrare in chicchessia.
Certo, io sono un privilegiato, poiché ho di fronte a me, ogni volta che insieme vocalizziamo, la perfetta visibilità della posizione del suono, che mi conferma quello che precedentemente mi ha spiegato.
Lasciamo per ora le cose come stanno e mi creda pur rispettando fortemente le Sue opinioni, mi permetta alla mia venuta a Valencia di ritentare riparlandone, poiché, mai come oggi, il mondo lirico ha bisogno della Sua parola.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 28/II/1965)
“Carissimo Commendatore e Gentile Signora Maria
Eccoci a Voi, dopo la fatidica “Tosca” del 19 c.m. (…) Io, in questa serata, essendo veramente in forma ho avuto applausi da tutto il pubblico incondizionatamente.
Anzi, caro Commendatore, non vedo l’ora di venire da Lei perché Lei mi senta. Sto perfezionando la mia imitazione su di Lei e sto ottenendo veramente dei buoni risultati. Vorrei tanto che Lei mi confermasse tutto questo perché mi riempirebbe di gioia poiché i Suoi insegnamenti per me sono stati di vero aiuto.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata aprile 1966)
“Come vede, sono a New York dove da dieci giorni ho iniziato le prove. L’opera è La Gioconda della quale ne ho cantato solo tre recite, tre anni fa. (…) Ho già fatto due prove di orchestra veramente buone. Cerco in linea di massima di non gravare il centro tenendolo piuttosto sul chiaro, come si addice alla voce tenorile, per poter sfogare meglio su e per non trovarmi ad avere l’estensione accorciata.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 1 settembre 1966, 60 W - 57 Str.)
“Con un po’ di ritardo questa mia Le porterà buone notizie riguardo la Gioconda e la Turandot, delle quali ora sto facendo le repliche.

Sono due opere che in complesso mi stanno bene ed avendo una certa simpatia per entrambe, le canto con una persuasione ed una interpretazione superiore alle altre. Ho avuto un buon successo di pubblico e di stampa, ma quello che indubbiamente ha meravigliato un po’ tutti è stata la facilità con cui la Tebaldi ha cantato quest’opera.
Lei conosce “Gioconda” e sa bene quali difficoltà presenti questa parte per il soprano. (…) Io, da parte mia cerco di colorire sempre più tenendo presente oltre che il significato della parola, o della frase, dei famosi riposi che mi diceva Lei.
Non Le nascondo che spessissimo ho dei complessi, che purtroppo solo con un più lungo studio con Lei avrei sicuramente chiarito.
Ma spero di rimediare a tutto presto, soddisfacendo questo mio desiderio.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 04.12.1966)
“Carissimo Commendatore,
Ho ricevuto la Sua gentile lettera che solo pochi giorni fa mi hanno portato, per il fatto che stiamo nel Tour con il MET. (…) La voce, non va malaccio, considerando il numero delle recite fatte e tutti questi mesi di lavoro, ma, qualche (ir)rigidimento dei muscoli del collo e della bocca mi preoccupano perché mi danno in alcuni momenti un suono piuttosto duro e impegnano piuttosto fortemente il fisico. Comunque siamo nel Tour e cercherò di salvaguardarmi, non impegnandomi a fondo e oltre tutto posso dirLe che qui il pubblico è sempre caloroso e benpensante anche quando non lo siamo del tutto.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 9 maggio 1968, su carta intestata. CABAÑA Motor Hotel of Atlanta)
“Carissimo Commendatore,
Ho ricevuto la Sua gentile lettera che solo pochi giorni fa mi hanno portato, per il fatto che stiamo nel Tour con il MET. (…) La voce, non va malaccio, considerando il numero delle recite fatte e tutti questi mesi di lavoro, ma, qualche (ir)rigidimento dei muscoli del collo e della bocca mi preoccupano perché mi danno in alcuni momenti un suono piuttosto duro e impegnano piuttosto fortemente il fisico. Comunque siamo nel Tour e cercherò di salvaguardarmi, non impegnandomi a fondo e oltre tutto posso dirLe che qui il pubblico è sempre caloroso e benpensante anche quando non lo siamo del tutto.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 9 maggio 1968, su carta intestata. CABAÑA Motor Hotel of Atlanta)
“Caro Commendatore
Dopo la Sua lettera abbiamo subito telefonato, peccato che la telefonata è stata data con tanto ritardo che non ho potuto essere presente. (…) Ora, venendo a me, credo di aver perduto il “canto sul fiato”, ho irrigidito tutti i muscoli della gola e, oltre questo, ho cantato diverse volte su corde arrossate e stanche. La conclusione, la può ben immaginare, giornate dove la voce non rispondeva più, estensione limitata, emissione forzata e intermittente, abbassamenti di voce… e momenti veramente di grande sconforto.
In ultimo, come se ciò non bastasse ci si è messa pure la registrazione dell’opera Romeo e Giulietta, alla quale non ho potuto dire il minimo no, essendo stato io a proporla. Sono però corso dal medico diverse volte e questo non ha mai trovato niente di serio. A parte tutto questo, riconosco di essere stato un debole per non aver avuto la forza di dare un taglio netto a tutto e riposarmi, come anche Lei ebbe a suggerirmi in una telefonata dall’America.
La mia cura di 20 giorni assoluti di riposo scade il 28 del mese (…) Ora, caro Commendatore, tutto dipende dalla salute della Sig.ra Maria e se questa va bene, come speriamo, e a Voi la cosa fa piacere, noi verremmo verso il 30. È logico che questa revisione vocale non si protrarrà per ore, è logico che cercheremo i momenti e i giorni migliori cioè tutto subordinato al Vostro potere e volere.”  (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi del 29 luglio 1968)
“Carissimo Commendatore e Gentilissima Sig-ra Maria
Eccomi a Voi con molto ritardo ma con una completa retrospettiva dal periodo in cui Vi abbiamo lasciato ad oggi. (…) Lei, caro Commendatore, si ricorderà bene quanto ha fatto e quanto si è battuto durante la mia permanenza a Valencia per togliere che opprimeva sempre più le mie corde vocali. In pieno Le ho dato retta.
Però un muscolo che lavora per quindici anni in una data direzione e sotto una determinata spinta, non può assolutamente rispondere nel giro di un mese o poco più e permettersi il piacere, seppure sotto giusta via, di rendere in pieno. Ecco che io da Lei, per esempio in “Questa è Mimì, gaia fioraia…” non riuscivo a finire la frase senza quei pochi secondi di interruzione che purtroppo la musica in teatro non concede.
Arrivato in Italia, non mi sono perso d’animo, ero troppo sicuro di quello che Lei mi aveva insegnato, di quello che avevo sentito con le mie orecchie e visto con i miei occhi - ho cominciato a canticchiare ma regolarmente, dopo il primo atto di Adriana (Lecouvreur) ero sempre rauco. Pensavo di rimandare la mia partenza di un mese, ma nello stesso tempo avevo ancora 20 giorni per la inaugurazione e tentai, partendo per New York.
A New York la voce mi faceva ancora lo stesso scherzo, però, ogni giorno acquistava pochi minuti più di resistenza, dandomi sempre più fiducia e perseveranza nel metodo.
Le prove in orchestra erano solo due: una prova normale ed una generale. Alla prima prova, con una paura da morire, non ho reso niente anzi… Alla prova generale riuscii a mettere a punto l’80 % dei Suoi insegnamenti. Le prove che avevo fatto ripetute decine e decine di volte avanti allo specchio, dei brani più difficili, le stavo portando in teatro. La gola resisteva e cominciava ad abituarsi a questo canto elastico e morbido.
Alla generale seguì la prima recita. Alcune critiche riportano che mai ho cantato così bene. Un paio di fa diesis mi sono venuti né chiusi né aperti, ma spero di sistemarli nel giro delle prossime recite. Il centro risulta più chiaro e più illuminato e logicamente più fresco e questo per me è una cosa che mi dà una grande gioia, e nello stesso tempo, togliendo gonfiore e pesantezza, non cala. Di una decina di note acute di una certa importanza che può avere l’Adriana Lecouvreur almeno 7 ne ho fatte con il Suo metodo, le altre purtroppo, pur venendo bene, sono ricadute nel vecchio metodo. Comunque con il sistema che automaticamente viene sempre più avanti dovrei portarle tutte nella stessa posizione con la stessa tecnica.
Ricorda quell’arpeggio che Lei fece il mattino della nostra partenza da Burjasot? Un arpeggio che dopo averlo fatto Lei andò ad accertarsi al pianoforte quale nota avesse fatto e ritornò dicendo “Maria, era un re bemolle”. Caro Commendatore quell’arpeggio, quelle note, sono per me uno specchio vivente ai miei occhi. Ricordo la facilità la brillantezza la posizione - e mi lasci dire con tutta sincerità che non c’è nessuno tra i “seniores”, tra “juniores” e tra i “neo debuttanti” che possa permettersi una cosa del genere.
Le scriverò ancora tra un poco di recite e Le farò il resoconto delle serate.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata NY 27 - 9 - 1968)
“Carissimo Commendatore e Gent.ma Sig.ra Maria,
Ho ricevuto proprio in questo momento la Sua lettera. (…) In questo frattempo ho avuto la prima di Tosca - Nuova produzione.
Trentadue giorni di prova. Mai in vita mia ho faticato tanto. (…) La voce usciva facile. Il si bemolle “Tosca sei tu” era un po’ alla Lauri Volpi. Come pure quello dell’ “Alma acqueta” e “avrà sol” dell’ultimo atto. Il “diffonderem” è stata la nota più centrata più facile e più lucente.
Nella romanza ho fatto un buon smorzato come pure nella frase seguente “oh dolci mani”.
Insomma una buona recita nel vero senso della parola. La critica è stata buona, unanime, ma io non posso né guardarla né sentirla. Molte tra le mie migliori recite e migliori successi sono passati inosservati o addirittura bocciati da quest’ultima. Riguardo il “Vittoria vittoria” il Times ha scritto: “durante la suddetta nota” (dato che l’ho tenuta molto lunga) “Scarpia avrebbe avuto il tempo di radersi la barba”.
Carissimi, ora ho una settimana libera. Vi scriveremo ancora dopo la recita di sabato.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 8 ottobre 1968)
“Carissimo Commendatore e Gent.ma Sig.ra Maria,
questa è la terza lettera che le scrivo dopo il mio telegramma della prima di Adriana. (…) Intanto ho fatto la seconda di Tosca. È stata una buona recita. Ho preso il nastro e alla nostra venuta a Valencia ve lo porteremo. C’è un po’ troppo spreco di energia, però penso che Le piacerà.
Certamente non è un disco, perché è stato preso con un piccolo apparecchio, però potremo egualmente discuterne insieme.
Comunque il successo c’è stato e questo è importante.
Qui le opere si susseguono ininterrottamente e dopo Adriana (Lecouvreur), Tosca, Turandot, La Bohème, Carmen e Don Carlo è la volta di Simon Boccanegra. (…) La Scala dopo l’andata a monte del mio contratto con Ernani, ha tentato di sostituirmi con Cecchele. La sostituzione sembra non essere stata gradita dal soprano Leontine Price, la quale si è sciolta dal contratto. Conclusione, inaugurano con Don Carlo.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 16 ott. 1968)
“La sera della mia prima Tosca è venuto ad intervistarmi un radiocronista della più importante stazione radiofonica d’America e del Canadà in lingua italiana. La domanda che mi ha posto è stata la seguente: “A che cosa deve Lei, Sig. Corelli, una carriera così longeva?”.
Al “longeva”, caro Commendatore, mi sono messo a ridere ed ho risposto: “Che cosa vuole che siano i miei quindici anni di carriera in confronto dei quaranta o più anni che hanno avuto “i grandi” dell’epoca d’oro della lirica?”.
- “No, Sig. Corelli, intendo dire che in questi ultimi anni, molti tenori, sono usciti e sono balzati in poco tempo alla popolarità, però, nel giro di pochi anni, si sono trovati nella parabola discendente, oppure, alcuni di questi, hanno già smesso di cantare. Quindi quello che volevo sapere da Lei, è, come fa a ritornare qui in America ogni anno, non solo in piena voce, ma direi, in forma sempre migliore?”.
“Caro Signore” ho risposto, “la Sua è una delle poche domande che mi piacciono e Le risponderò molto semplicemente. Il canto è un sacrificio e bisogna sacrificarsi per durare a lungo, ma la cosa più importante è trovare la strada e la mia strada sta in Spagna, Valencia, Giacomo Lauri Volpi.
Lei conosce questo famoso tenore, è lui che indica il cammino da seguire, un vocalizzo io, un vocalizzo lui, una frase io, una frase lui, e in questa maniera che si potrebbe definire una gara vocale io cerco di imitarlo e di rubare quanto più posso dalla sua splendida voce e dal suo ineguagliabile imposto”.
Questa in poche parole è stata la mia intervista sul palcoscenico del Met alla prima di Tosca.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 6 nov. 1968)
“Carissimo Commendatore e Gent.ma Sig.ra Maria
Siamo a Seattle sul Pacifico.
Ho cantato ieri sera Andrea Chénier.
Il metodo funziona.
Posso confermarlo ancor di più per aver cantato quest’opera che non facevo da quasi due anni. Tutto è andato più che bene. Ottima critica e un pubblico più che caldo.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 18 nov. 1968, su carta intestata THE OLYMPIC HOTEL - fourth at Seneca - Seattle, Washington 90101)
“Carissimo Commendatore e Gent.ma Sig.ra Maria
Siamo ad Hartford per una recita di Andrea Chénier. Domani stesso sarò di ritorno a New York. (…) Come state? Come è il clima a Valencia? Qui, questa notte il termometro è sceso a 14 sotto zero. Mica male è?!?!!
In questo momento New York è piena di influenza, di forma benigna, ma che non risparmia nessuno. Giorni fa, una nota cantante ha cominciato il Rigoletto in condizioni sia vocali che fisiche non buone, dovute alla suddetta influenza, dopo poche battute di canto la voce ha cominciato a farle strani scherzi e per la prima volta il pubblico del Met si è dimostrato non comprensibile e ingeneroso, protestando come ad una partita di calcio. Non è certo un bel principio.
In questo frattempo ho cantato due recite di “Romeo”. Senza averle in gola sono state nettamente superiori a tutte le 21 recite dello scorso anno. Questo è il risultato più evidente del frutto che mi ha dato l’agosto valenciano.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 9 dicembre 1968, su carta int. THE HARTFORD HILTON - Ford and Pearl Streets - Hartford, Connecticut 06101)
“Carissimo Commendatore e Gent.ma Sig. Maria
Eccoci arrivati a Cortina, e qui speriamo di stare un po’ in riposo.
Il viaggio di ritorno è stato bello seppure faticoso. (…) Da allora cioè dalla nostra ultima (lezione) non ho più aperto bocca, voglio fare almeno dieci giorni di riposo vocale e poi riprendere. (…) Sono veramente commosso di avermi fatto venire a Valencia nonostante le non buone condizioni di salute della Sig-ra Maria e ancora di più apprezziamo la forza d’animo e la volontà che la Sig.ra Maria ha dimostrato nel tenerci compagnia durante il soggiorno. (…) In quanto a Lei, caro Commendatore, non ho parole per esprimerLe il mio entusiasmo data la forma in cui l’ho trovata. Lei è un miracolo in terra. Oltre questo il mio ringraziamento va per la pazienza, passione ed entusiasmo con cui mi si è prodigato, nel consiglio nell’insegnamento sempre tutti gli anni più proficuo. Vi terremo informati su tutto. Ancora non sappiamo quando il Metropolitan aprirà, sembra abbia un ritardo di 15 giorni ed io anziché avere la mia recita il giorno 27 l’avrò il giorno 30. Se queste date saranno ancora spostate sarebbe bello essere rimasti a Valencia per qualche tempo ancora.
Le sarò più preciso con la mia prossima di quello che farò.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 31.8.1969)
“Carissimo Commendatore
Sono rientrato oggi a Milano ed ho trovato la Sua del 18 agosto. (…) Sì, è vero, sono depresso, ma non per dubbi, perché specialmente dopo i nostri ultimi incontri dubbi non ne ho più, ma perché spesso l’eccessivo lavoro, i continui spostamenti, il differente repertorio e le responsabilità che ogni giorno crescono, fanno accumulare difetti che dovrebbero (essere) riveduti e corretti almeno una volta all’anno e naturalmente il solo pensiero mi immelanconisce e mi porta ai nostri meravigliosi incontri che tanta soddisfazione davano alla voce e allo spirito.
Sono ritornato all’Arena, dopo diversi anni di assenza, solo perché, mancandomi l’appuntamento valenciano avremmo avuto un vuoto enorme che solo il lavoro ha parzialmente colmato, in quanto, per me, il nostro studio è stato sempre la cosa più importante. Creda, questa è stata l’unica ragione per cui ho accettato Verona.
L’unica gioia che ho avuto in questo ritorno, (è stata) che tutti, trovandomi migliorato, mi hanno permesso di parlare di Lei, ogni giorno, delle nostre conversazioni, del nostro studio e di quanto Lei tanto generosamente mi ha offerto – E ancora una volta, come sempre, grazie dal profondo del cuore anche da parte di mia moglie, la quale invia i suoi affettuosi e sinceri auguri alla Sig.ra Maria.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 1 settembre 1970)
“A Vienna ho avuto il piacere di avere una trasmissione radio per 45’: Corelli e la “Pira”. In questi 45’ hanno trasmesso la mia prima incisione della “Pira” fatta nel 1958 la seconda fatta nel 1966 facendone poi un confronto piuttosto giusto e interessante. Hanno poi trasmesso la Sua “Pira” e il Suo “E lucean le stelle” e la Pira di Del Monaco. La conclusione parlata, Lei, la può ben immaginare. Hanno infine concluso la trasmissione con altri miei dischi.
A seguito di questa trasmissione molto seguita in Austria, l’Herald Tribune mi ha fatto una intervista per l’America. Intervista che tra parlato e pezzi musicali avrà la durata di un’ora. Nell’intervista, ho molto parlato di Lei, dei nostri incontri vocali, di tutte le nostre discussioni e di tutto quello che mi ha chiarito confermandomi tutto quanto già visivo e sufficiente con frasi vocali di indiscutibile e insuperabile emissione.” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 3 dicembre 1970)
“Carissimo Commendatore
Dopo la nostra telefonata vengo subito a scriverLe.
Non so quello che Lei abbia potuto capire attraverso il telefono, comunque ora, Le specificherò in maniera spero abbastanza chiara quello che mi sta succedendo da qualche mese.
Il centro non è più al suo posto. Bisogna che canti tutto con la “a” per avere un suono abbastanza timbrato e abbastanza avanti. Quando canto con la “o”, sia nel vocalizzo che nel canto, il suono sembra perdere di brillantezza, per non dire che si afonizza leggermente, la gola comincia a partecipare allo sforzo, il collo si tira e la voce pesa.
Ad un “centro” messo in tale maniera si sovrappone in difficoltà ancora maggiore la insicurezza del passaggio, che molte volte è incerto, costringendomi per una sua sicurezza ad una forzata apertura. Nell’acuto ho perduto la rotondità, causata sempre per l’abuso della pronuncia della vocale “a”.
Ora, cantare in questa maniera è diventato veramente problematico, le mezze voci, i diminuendi non sono più sicuri, come pure diventa insicura la resistenza. Con tutto questo che è visto da me in maniera pessimistica, le recite corrono egualmente e direi quasi con il solito successo sia di critica che di pubblico.
Questa è stata la ragione fondamentale del mio silenzio, il perché mi sono astenuto dallo scriverLe. Mi sentivo tanto imbarazzato e vergognoso da non poterLe dire che progredivo, che tutto andava bene, con i Suoi giusti consigli che ho sempre davanti agli occhi, ma quando purtroppo la gola, per impennature sopraggiunte o per indisposizioni sulle quali ho sempre cantato, ha preso dei difetti dai quali è veramente difficile liberarsi, ci si trova nel buio completo. Non riesco a vedere quello che dovrei fare e soprattutto dovrei prendere un rimedio, prima che incomincino le vere difficoltà.
Con molto affetto
Franco Corelli”
(Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 7/4/1972)
“Carissimo Commendatore,
di tempo, da che non Le scrivo, ne è passato tanto. (…) Gli impegni che avevo preso e che mi dispiaceva cancellare, mi portavano all’esasperazione. Avrei fatto non so cosa per avere un periodo certo non inferiore alle tre settimane, per volare da Lei. Non ci sono parole per spiegare quello che mi succedeva e che ancora oggi mi tiene sempre in apprensione. Una recita bene, due stentatamente portate a termine era ed è il mio modo di andare avanti. (…) Dopo un periodo di riposo e penso non molto lungo, per quanto penso mi gioverebbe assai, verrei da Lei. Questo dovrebbe essere dopo il ferragosto cioè dopo il grande rientro dei gitani.
Io spero proprio che Lei mi comprenda, che non giudichi questo mio silenzio come cattiva educazione o menefreghismo e che ancora oggi e forse più di ieri mi dia una mano a risolvere quello che ancora può essere risolto.
Sono qui a Lisbona per Carmen e La forza del destino. Erano opere per me facilissime, ora mi danno dei forti pensieri.
Non voglio essere pessimista e né voglio rattristarla, ma il ridursi della facilità con cui cantavo mi dà sempre di più motivo di preoccupazione.
Al piacere di sentirLa e di saperLa bene L’abbraccio con tanto affetto, unito a Loretta
Suo Franco Corelli” (da Lettera di Corelli a Lauri-Volpi datata 7.3.1973, su carta intestata HOTEL TIVOLI - Lisboa Portugal)
Purtroppo, dopo una nota recita di Corelli a Torre del Lago nel 1976, “a sorpresa”, il tenore anconetano decise improvvisamente di non salire più su un palcoscenico d’opera (lo rivedremo in alcuni concerti successivi, ma non opere liriche!). Ecco il rammarico di Lauri-Volpi espresso verso la fine del 1973:

<<“Il Conservatorio di Dio, come veniva chiamata l’Italia, è diventato il conservatorio del Diavolo! Capirà, tutti strillano come pazzi!! Però in Spagna qualcosa accadrà: tremila goliardi di Madrid canteranno seriamente e contesteranno i microfoni nelle esibizioni dei canzonettisti. Io personalmente ho elargito i miei segreti a Franco Corelli. E questa generosità vuole essere soprattutto un fatto di italianità: ridare il primato della lirica al Metropolitan di New York all’Italia. Corelli, fino a qualche tempo fa mi era devoto e grato… Ora non si sente più. Eppure mi fece decine di interurbane perché gli risolvessi certi problemi nel cantare “Poliuto” e “Ugonotti”, e, più recentemente, il “Werther” di Massenet al Metropolitan. Dopo il “Werther” mi scrisse questo telegramma: “Molti auguri di buona Pasqua in ottima salute. Werther è stato, grazie a lei, uno splendido successo…”.>> (Leonardo Bragaglia, da “Il secolo d’Italia” del 28 novembre 1973, lettera da Lauri Volpi all’età di 81 anni “sonanti e risonanti”).

E nel suo "VOCI PARALLELE" - Bongiovanni Editore, Bologna, terza edizione, 1977 (pagina 197) Lauri-Volpi scrisse questa nota a piè di pagina: <<Oggi Corelli attraversa un periodo di grave smarrimento, con vivo rammarico dei suoi estimatori. La causa? Forse l’uso della respirazione addominale e il conseguente sforzo nel sostenere la colonna sonora. È grave errore non cantare "sul soffio" e non dirigere la corrente sonora ai seni frontali.>>

Sicuramente Lauri-Volpi non ebbe eredi in senso stretto, quanto ad estensione prodigiosa della voce, dal fa contrabbasso al fa sovracuto, per stile e fraseggio, per squillo e accento particolarmente “verdiano”, per perfezione di tecnica vocale e interpretazione, ed anche per ampiezza di repertorio (dai ruoli per lirico-leggero a quelli spinti, da quelli lirici a quelli drammatici) e lunghezza d’anni di carriera, ben 40, e la sua voce anche dopo continuò ad essere limpida e in salute fino al suo ultimo giorno di vita, davvero un unicum; tuttavia, si può dire, in senso più lato, che Corelli fu il suo unico “erede”, erede soprattutto di quel metodo tecnico-vocale che gli consentì d’affrontare opere particolarmente difficili e di cantare un innumerevole numero di recite con maggior sicurezza e libertà vocale portando il numero d’anni della sua carriera a 25 e lasciando alla storia del canto momenti di assoluta eccezionalità, come ad es. il suo famoso si bemolle acuto filato “in diminuendo” a conclusione della romanza “Celeste Aida”!




Oggi, in un periodo dominato dalle registrazioni discografiche spesso finte e false (tra tagli e pesanti modificazioni dell’audio) e dall’uso del microport, sfortunatamente le poche registrazioni che ci rimangono della voce di Lauri-Volpi tra quelle in studio e quelle “live”, fatte pure con mezzi tecnici di ripresa della voce molto limitati rispetto a quelli odierni, non restituiscono pienamente al vasto pubblico (cresciuto più con una montagna di ore di ascolti discografici che con un ascolto dal vivo ove il cantante non può tanto barare) la vera voce e vocalità che hanno potuto sentire coloro che come Corelli ed altri ancor prima di lui (soprattutto nel periodo migliore di Lauri Volpi, quello compreso tra il 1926 e il 1944 circa) l’hanno potuto ascoltare e veder cantare dal vivo in teatro.

Oggi anche i melomani come i musicisti (tranne qualcuno molto preparato) non hanno quasi più la capacità di distinguere una tecnica vocale giusta e si formano le orecchie su suoni vocali, così come presentati in accademie e in teatro, per lo più scorretti, forzati, falsati e innaturali. Tuttavia le registrazioni che ci rimangono ad un orecchio preparato e consapevole sono sufficienti a darci l’idea di come Lauri-Volpi conducesse la voce a livello tecnico e stilistico, una strada tecnico-vocale che dovrebbe essere di esempio assoluto per i tenori di oggi e di domani! 

Martinelli e Corelli, nel salone dei (Miti) nel 1965, a scoprire il busto dedicato a Lauri Volpi, rarissimo onore che spettò all'unico discepolo del vero archetipo del canto Giacomo Lauri Volpi, il giovane Corelli.

Fonti principali d’approfondimento:

Articolo volpiano intitolato “Vacanza di Corelli in terra spagnola”, su “MOMENTO-SERA”, quotidiano del pomeriggio edito a Roma, del 3 ottobre 1963

Articolo volpiano intitolato “A lezione dal veterano (Franco Corelli)”, in “MUSICA E DISCHI”, rivista di Milano, numero 258, del dicembre 1967

Articolo volpiano intitolato “Werther o le insidie del ‘salto di settima’ (Franco Corelli)”, in “MUSICA E DISCHI”, rivista di Milano, numero 300, del giugno 1971

Giacomo Lauri-Volpi - “Incontri e scontri” (ed. Bonavita, Roma, agosto 1971)

Giacomo Lauri-Volpi - “Voci parallele” (3° edizione, dicembre 1977, ed. Bongiovanni, Bologna)

Voce enciclopedica “CORELLI FRANCO”, scritta da Lauri-Volpi, presente nella Enciclopedia della Musica, Ricordi 1963

Rodolfo Celletti - "Le grandi voci", pubblicato dall'Istituto per la collaborazione culturale nel 1964

Jerome Hines - “Great Singers on Great Singing”, A famous opera star interviews forty famous opera singers on the technique of singing - Doubleday and Co., 1982

Stefan Zucker - "FRANCO CORELLI, A Revolution in Singing" - New York, Bel Canto Society, 2015

Maurizio Tiberi - “Giacomo Lauri Volpi Un Tenore dall’800” - Edizioni TIMAClub 2012

Giancarlo Landini - “Franco Corelli, l’uomo, la voce, l’arte” - Idea Books, Viareggio, 2010

CORELLI, Dario Franco, voce compilata da Giancarlo Landini, in Dizionario Biografico degli Italiani - (2015), su Enciclopedia Treccani (Online) --> http://www.treccani.it/enciclopedia/dario-franco-corelli_(Dizionario-Biografico)/



APPENDICE AUDIOVISIVA
SUL TENORE GIACOMO LAURI - VOLPI




Lauri-Volpi canta "A te o cara", dai "Puritani" di Bellini nel 1933 





Lauri-Volpi canta gli "Ugonotti" di Meyerbeer all'Arena di Verona nel 1933





Lauri-Volpi canta nel 1933 la "Canzone del sole" di Mascagni





Lauri-Volpi mentre prova nel 1949 per la "Luisa Miller" di Verdi al Teatro dell'Opera di Roma





Lauri-Volpi canta "Cielo e mar", dalla "Gioconda" di Ponchielli nel 1953





Lauri-Volpi presenta e canta "Poliuto" di Donizetti nel 1955 a Roma





Lauri-Volpi canta la celebre romanza di Calaf "Nessun dorma" dalla Turandot di Puccini nel 1972 al Gran Teatre del Liceu di Barcellona





Lauri-Volpi, "il miracolo di una voce", 1973





Bergonzi parla di Volpi, come del più grande e completo tenore verdiano