venerdì 17 febbraio 2017

L'AVVENTO DELLA VOCE TENORILE NEL MELODRAMMA DELL'800 - di Giacomo Lauri - Volpi



L'AVVENTO DELLA VOCE TENORILE NEL MELODRAMMA DELL'800, Lauri-Volpi tratteggia la storia e le caratteristiche della voce di TENORE :

<< (...) Essa è la più alta, chiara e squillante delle voci virili, che comprendono anche quella del baritono (voce grave) e del basso (voce profonda). Potremmo aggiungere che il timbro tenorile è il punto di passaggio, o intermedio, tra voce femminile e voce maschile. Infatti la prima ottava del soprano coincide, quanto a frequenza, con l'ottava centrale e acuta del T., nel quale la bivalenza dovrebbe apparire in pienezza d'armonia. (...) Per la sua stessa rarità e delicatezza, questa voce è soggetta a variazioni d'ordine fisico, fisiologico e psicologico. La sua normale estensione va dal mi della regione bassa al si bemolle della regione acuta. Ma le voci meglio dotate toccano il do basso e raggiungono il re bemolle sopracuto. In casi del tutto singolari, toccano persino il mi bemolle sopracuto con la stessa emissione del normale si bemolle acuto. Ma questa è una rarità fisiologica individualissima giacché, secondo la comune fonetica biologica tenorile, ogni nota oltre il si bemolle non risulta altro che un falsetto irrobustito o "rinforzato".

La voce del T. nel '600 (secolo in cui trionfano le voci femminili che interpretavano indifferentemente parti da donna e da uomo) e nel '700 (il secolo dei sopranisti e degli eunuchi) non era in grande onore e veniva impiegata per lo più soltanto nel complesso corale polifonico.
All'inizio dell'800 si verificò una specie di rivoluzione nell'uso della voce umana cantata. Ai sopranisti succedettero, sulla scena lirica, i T. per i quali i famosi compositori cominciarono a scrivere parti impegnative e rischiose che non si limitavano al canto spianato, ma esigevano vocalizzi, abbellimenti, cadenze, filature, falsetti inverosimili, per i quali venne in voga il cosiddetto "belcanto", appunto per gli abbellimenti e per i virtuosismi che comportava. Simile scuola esigeva l'educazione della laringe, educazione che si protraeva per sei o sette anni di studi severi e faticosi. Rossini gettò le basi di questa scuola, ma si preoccupò di non lasciare all'arbitrio dei cantanti le cadenze e di non permettere ai tenori (Tamberlick e Duprez) di lanciare i do acuti (cosiddetti "di petto") a squarciagola, senza cioè giovarsi delle risonanze superiori o cervicali (dette note "di testa"), da non confondersi con il falsetto, l'uso del quale andò via via scemando fino a scomparire con l'avvento della mezza voce tenorile. La quale costituì la letizia dei teatri d'opera nella seconda metà dell'800.


Per avere chiara conoscenza della voce di T., si ponga mente all'emissione preferita nei diversi periodi, entro i limiti di un secolo e mezzo di storia: agli esordi emissione "mista" negli acuti e sopracuti (a imitazione dei detronizzati sopranisti); emissione "nasale", da Rubini ai successori; emissione "ingolata", da Caruso agli epigoni. Va da sé che a ogni emissione corrisponde un diverso metodo di respirazione tecnica. I falsettisti prediligevano il tipo clavicolare; i nasaleggianti il diaframmatico costale; gli ingolati il diaframmatico addominale. Si distinguono i T. leggeri (o "di grazia"), dai T. lirici e dai T. di forza (o drammatici).
Il T. di grazia (ted "leichter Tenor") canta con tenue e svelta voce, educata allo stile misurato e alle agilità nitide e sicure: Ernesto, nel "Don Pasquale" di Donizetti, è T. leggero.
T. lirico (ted. "lyrischer Tenor") è Rodolfo nella "Bohème" di Puccini: il suo è un canto morbido e romantico e richiede slancio di emissione e profondità di sentimento.
T. di forza (ted. "Heldentenor") è l' "Otello" di Giuseppe Verdi, o Canio nei "Pagliacci" di Leoncavallo: due tipi di voci (ribelli alle eccessive sfumature) che interpretano la gelosia con accenti talvolta disperati. Richiedono quindi timbro metallico e rovente negli acuti e rotondità quasi baritonale nelle note centrali. E', s'intende, una classificazione astratta.
Voci tenorili polivalenti possono tuttavia affrontare l'intero repertorio, grazie a una fonetica avveduta e a doti naturali fuori dell'ordinario. In genere l'aspetto fisico del T. corrisponde ai caratteri dell'androgino vocale.
E' il più adatto a rappresentare la figura dell'adolescente innamorato, o dell'eroe epico e mistico, o del poeta sognatore.


(...) Date le caratteristiche, la voce del T. è la più ricercata per essere la più rara e la più difficile a preservarsi. Se non dispone di puro timbro e di armoniose risonanze, molto spesso risulta arida e sgradevole all'udito. (...) Nell'800, tra i T. più celebrati si segnalarono García, Nourrit, Duprez, Rubini, Mario de Candia, Tamberlick, Donzelli, Baucardé, Masini, Gayarre, Marconi, Tamagno e altri. (...)
Circa i modi interpretativi giova rilevare che nell'800 romantico, i T. usavano eseguire la musica a mezza voce o in falsetto, risparmiandosi per le corone (o note tenute) e le cadenze. Il che sollevò le reazioni famose di Wagner e di Boito, quando ascoltarono, a Parigi, Rubini (il primo) e Mario de Candia (il secondo). S'imponeva l'economia della materia-suono a scapito, non di rado, della parola e della situazione scenica. Nel periodo verista successivo i T. dovettero rinunciare all'economia sonora per dedicarsi, con seria devozione, al testo e alla realtà drammatica. Il dibattito della preminenza da darsi alla musica o al testo è ancora da risolvere. Il T. cha sa conciliarli nel suo canto è quegli che più risponde alle esigenze della natura e dell'arte e afferma più schiettamente la sua personalità. La voce di T., quando è bene formata, educata e ispirata, è quella che desta i più alti diletti dello spirito e rivela, nei momenti assoluti (o "stati di grazia") del cantore, l'esistenza e la visione di un mondo al disopra del contingente.
Voci ibride - tra quelle del T. e di baritono - sono oggi di moda col prevalere dei canzonettisti e degli "urlatori".
Voci scialbe e impersonali, oppure isteriche e sguaiate, esse rivelano la decadenza sociale e un periodo transitorio della storia umana. (...) >>
 

LETT. - R. Celletti, "Il T. nell'opera del Seicento e Settecento", M.d'o 1963, n.3. p.109-115; Id., "Il T. nel melodramma romantico e nell'opera contemporanea", ivi 1963, n.4, p.146-155


<<È grave errore non "cantare sul soffio" e non dirigere la corrente sonora ai seni frontali.>> - G. Lauri - Volpi

[dalla voce enciclopedica "TENORE" scritta dal tenore Giacomo Lauri-Volpi per l'Enciclopedia della Musica, Ricordi 1964]