mercoledì 3 maggio 2023

Giacomo Lauri-Volpi "desiderato e sognato da Puccini vivente" come Principe Calaf nella sua 'Turandot', nella testimonianza di Giuseppe Adami


Martedì 7 ottobre 1941 - VARIAZIONI SCALIGERE
- Ritorno di Lauri Volpi -
Dal "Sogno" di Manon all'"Esultate" di Otello

MILANO, ottobre.
Chiedo di Mataloni: non c'è, è in Germania. Non posso dunque avere qualche indiscrezione sul prossimo cartellone della "Scala" nel secondo anno di guerra. Tornerò un'altra volta. Ma mentre esco uno squillo di voce m'investe all'improvviso, da un salone di prova. E' una voce singolare, anzi la più singolare delle voci: schietta, limpida, fresca, piena d'impeto e calore, robusta, travolgente. Voce di grande artista. Mi fermo. Ascolto: Verdi, Otello. Un lampo mi illumina. Interrogo un maestro che passa in quel momento:
— Ma non è Lauri Volpi?
— Proprio lui.

Ritornano i lontani ricordi

Non m'ero ingannato. Aspetto che finisca. Il ritorno alla "Scala" di Giacomo Lauri Volpi, dopo tanti anni di assenza variamente interpretata, merita qualche spiegazione.
Nell'attesa mi s'affollano i lontani ricordi: fu proprio in quella sala, testimoni i ritratti di Verdi e di Boito dominanti dalle pareti, che scoppiò il grosso urto con Arturo Toscanini, per la famosa cadenza del Rigoletto. L'opera verdiana aveva trionfalmente rivelato ai milanesi il giovanissimo tenore in una precedente stagione al Dal Verme. Ora il maestro l'aspettava al varco di una personale audizione a tu per tu. Tragica atmosfera di burrasca, nel chiuso e cupo silenzio toscaniniano e nell'ostile accoglienza al tenore sgomento. Finalmente il temibile giudice siede al piano, apre lo spartito, fa cenno d'attaccare. Alla fine della ballata, la cadenza lo esaspera. Batte con forza il pugno sulla pagina. Non parla. Il silenzio si prolunga per qualche minuto. L'ira repressa del maestro si sfoga nel caratteristico torturarsi dei baffi. Ma Lauri Volpi prova l'impressione d'essere lui al posto di quei baffi, sotto quelle unghie che lo fanno rabbrividire. Poi la prova riprende e continua. Ecco il momento della "Donna è mobile"... Lauri la chiude con la filatura che Angelo Masini s'era creata per l'effetto irresistibile, e che, dopo di lui, tutti i tenori avevano, più o meno bene, imitato. La filatura, questa volta, è perfetta. Ma su tanta perfezione scoppia come una bomba l'esplosione di Toscanini:
— Ah! No! questo poi no, non lo permetto!... Questa è un'indegnità, un idiota esibizionismo di cantanti buffoni... Tu devi cantare quel che Verdi ha scritto, m'intendi? Alla Scala non si fanno pagliacciate... Lascia pur le varianti agli imbecilli...
La sfuriata continua. Lauri incassa e ubbidisce. Dopo le prime recite s'ammala. Una rappresentazione di Rigoletto a teatro esaurito è per forza sospesa. Si attribuisce la malattia, che è vera, a una postuma vendetta del tenore. Invenzioni, deplorazioni, commenti, dilagano in Galleria e fuori. Più tardi egli ne paga il fio. Desiderato e sognato da Puccini vivente come creatore del Principe Calaf di Turandot, nella prima indimenticabile edizione scaligera, viene sostituito dallo spagnolo Fleta.
La filatura del Rigoletto si era prolungata oltre il credibile: fino al 1926.

Un'intensa nostalgia

Ora s'apre la porta della famosa sala e sorridente, ìlare, soddisfatto appare Lauri Volpi.
Scendiamo insieme. Mi parla dell'Otello, seconda delle opere che nella prossima stagione canterà alla Scala. La prima è Turandot. Terza sarà I Pagliacci per la celebrazione cinquantenaria di Ruggero Leoncavallo. Ma tutta la grande attesa sfocierà nell'Otello. Mi dice che del Moro di Venezia ha una concezione tutta sua, fatta studiando Shakespeare. Non il solito epilettico ossessionato da una brutale e primitiva gelosia. Otello è un morbido innamorato che si inginocchia in umiltà estatica ai piedi di Desdemona, mentre la Repubblica Veneta si prostra a lui, condottiero vittorioso, che ha schiacciato l'orgoglio mussulmano. Il fondo della sua torturante gelosia è mistico. Vuole salvare l'anima di Desdemona, soffocando in lei quella che crede la colpa terrena, per la salvezza eterna. Sono mesi e mesi che scava e approfondisce il personaggio, psicologicamente e musicalmente.

— Quando — dice — mi sono sentito pronto e sicuro, ho scritto offrendomi alla Scala di cui avevo intensa nostalgia. Ricantare in Italia, nel grande teatro, in una parte che mi rivelasse sotto un completo aspetto di tenore e di interprete, mi pareva un dovere, oltre che un orgoglio, nel momento attuale. Me n'ero andato quando si sferrarono intorno a me, da ogni parte, le più stolide e assurde accuse. Mi si tacciò di iperboliche esigenze di paga, mi si dipinse come un megalomane gigione avideo soltanto di colpi di grancassa pubblicitaria. Mi si tacciò persino di anti-italianismo, io che ho combattuto in pieno tutta la prima guerra, guadagnandomi encomi solenni e il grado di capitano. Tutto questo perchè? Perchè un giorno avevo osato protestare contro la designazione di categoria sindacale dei cantanti, parificati ai datori di lavoro. Perchè esigevo che la mia paga fosse uguale alle massime concesse ad altri due celebri colleghi. Ma soprattutto perchè quando si vogliono inventare leggende intorno al nome di un artista che tale nome s'è creato a prezzo di fatiche, di stenti, umiliazioni, c'è subito un terreno fertile e propizio a raccogliere la semina della malvagità. Le lunghe stagioni all'estero, al Metropolitan, al Colon, in Germania e ultimamente per due anni in Spagna, hanno fatto passare tanta acqua sotto i ponti che anche gli ultimi limacciosi fondi di quella gazzarra sono stati portati via, insieme alla classifica di "datori di lavoro" che ci parificava all'operaio. Oggi siamo anche noi, com'era giusto, tra i professionisti e artisti... Ma non è ciò che nell'ora saldamente, eroicamente, vittoriosamente combattiva della Patria, va considerato. E' invece da considerare che un 'romano de Roma' come me ha il dovere di offrire all'Italia la sua parte migliore: la sua voce, la sua anima, la sua intensa passione, la sua fede. Perciò quest'anno ho voluto, anzi ho insistito, perchè mi si riaprissero le porte della Scala.
— E adesso resti qui fino al debutto?
— No. Prima del gran pubblico milanese ce n'è un altro che m'aspetta.
— Quale?
— Quello di Bologna, dove devo sciogliere un voto.
— Un voto?
— O per meglio dire mantenere una promessa fatta da tempo ai Padri Olivetani di San Michele in Bosco, allo stesso Arcivescovo e al compianto professore Putti dell'Istituto Rizzoli. Ho promesso che avrei cantato, al mio ritorno in Italia, per la ricostruzione delle campane del pittoresco Santuario che domina la Città di Enzo e la ridente plaga emiliana. La mia voce quindi darà voce alle nuove campane, dato che le antiche, con la consueta sbadataggine, se le era messe in tasca il Gran Napoleone... E pensa che tant'anni fa, quando a Bologna, subito dopo Milano, cantai il Rigoletto con tutte le sue brave cadenze e filature, fu proprio scendendo da una passeggiata sulla collina di San Michele in Bosco che, rientrato in albergo, ebbi la magnifica sorpresa di trovare i miei bauli scassinati e svuotati.
— Da un ladro?
— Press'a poco. Da un impresario di Buenos Aires col quale m'ero reso contrattualmente inadempiente per non rinunciare al Dal Verme che mi offriva l'attesissima possibilità di farmi sentire sul più grande mercato lirico del mondo. Una penale di centomila lire che l'aguzzino cominciò a rimborsarsi con quel sequestro bolognese, dandomi poi la più ostinata caccia in ogni piazza, fino a che non si venne a un pacifico accordo sulle basi d'una nuova scrittura. Immagini la mia desolazione quando constatai che m'avevano portato via tutto quello che allora, dopo tanta miseria, possedevo?

Al "Costanzi" del 1920

L'interrogazione mi rimbalza lontano col pensiero: rivedo Lauri Volpi con in testa, di traverso, un curiosissimo cappelluccio a scacchi che portava alle prove quando giocò la sua prima partita col pubblico del Costanzi nel gennaio del 1920. Emma Carelli, che col marito Walter Mocchi dirigeva il teatro, aveva molta fede in quel ragazzo che usciva dalla scuola del Cotogni di Santa Cecilia. Ma quel ragazzo, acerbo debuttante, preoccupava non poco Rosina Storchio, sulla cui celebrità si fondava l'enorme attesa romana per la Manon di Massenet. Temeva giustamente che quel Des Grieux impacciato e scolastico distruggesse l'importanza dello spettacolo. C'era un'aggravante, per giunta: nella stessa stagione un altro esordiente aveva rovinato l'Iris, sollevando le proteste degli abbonati. Lauri sentiva l'aria gravida di diffidenza e ne tremava. Quando venne il giorno della prima prova con la Storchio, costei non nascose la sua freddezza. Ma a prova finita volle che il tenorino l'accompagnasse all'albergo dove lei stessa gli accennò il sogno del secondo atto con tutte le inflessioni di voce e l'espressione interpretativa che il brano esigeva.

— E' vero — mi conferma Lauri Volpi. — Perfettamente esatto. Ma il mio canto istintivo si ribellava ad ogni ammonimento e ad ogni freno. La Carelli, impressionata, aveva finito col dividere le perplessità della Storchio. Fu allora, dopo la prova generale, che intervenne con impetuosa foga Walter Mocchi:
— Cara Rosina — proruppe. — E' inutile ribellarsi. Questo ragazzo deve debuttare. Se vuoi, domani sera, essergli madrina, nel battesimo, bene. Se no un'altra Manon meno diffidente aprirà le braccia alla sua disperata passione.

Un simbolo di vittoria

La Storchio ascoltò quello sfogo imperturbabile. Con fermezza rispose:
— Caro Walter, se tu che sei l'impresario e di pubblici te ne intendi hai la convinzione che questo ragazzo vada bene, tanto meglio per tutti. Io sarò felice di incoraggiarlo e di assisterlo scena per scena, in ogni punto, in ogni movimento.

— Ritornai al mio povero albergo, stanco, sfinito, e m'addormentai. Il sogno mio si sovrappose al Sogno di Manon. E sognai quello che era veramente accaduto durante la guerra: una notte ci eravamo rifugiati in una casa diroccata di Lucinico, dove avevamo trovato uno sconquassato pianoforte. Su quel piano m'ero accompagnato a fior di labbro, perchè i morti ed i vivi non udissero, il sogno deplorato. Mi sveglai di soprassalto. Mi dissi: questa sera lo canterò come in quella desolata notte, non con la gola, ma con l'anima. E così fu. Seduto, immobile, ad occhi chiusi, il viso sorridente, mormoravo le parole sul tenue soffio del respiro. E quando arrivai, piegandomi in ginocchio, ai piedi di Manon, al finale, era tale la profondità e la verità della mia commozione che il pubblico balzò in piedi acclamandomi. La battaglia era vinta.

* *

A ventun anni di distanza il tenorino lirico ha compiuto la gamma della sua evoluzione. Dal lontano Sogno di Des Grieux ora erompe il drammatico "Esultate" dell' Otello, che è un simbolico grido di vittoria.

Giuseppe Adami [N.B.: il librettista, assieme a Renato Simoni, della 'Turandot' pucciniana]

(STAMPA SERA - Anno XIX) 

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 Il tenore Giacomo Lauri-Volpi ricorda la predilezione di Giacomo Puccini per la sua voce

Testimonianza-audio tratta dall'Intervista a Giacomo Lauri-Volpi realizzata a Burjasot il 25 aprile 1971 con Sergio Saraceni. (Nell'immagine presente nel video: Giacomo Lauri-Volpi (Calaf) e Claudia Muzio (Turandot) nella "TURANDOT" di Puccini, in prima esecuzione per Buenos Aires - Teatro Colón, 25.6.1926) 

Nella sua carriera durata ben 40 anni, Lauri-Volpi interpretò più volte i seguenti sette ruoli operistici pucciniani: "Gianni Schicchi", "La Bohème", "Tosca", "Madama Butterfly", "Manon Lescaut", "La Fanciulla del West" e "Turandot".

Per quanto riguarda l'ultima opera incompiuta di Puccini, ecco la lista delle ventisei produzioni di TURANDOT in cui il grande tenore di Lanuvio ha interpretato dal 1926 al 1958 il ruolo di Calaf, nei maggiori teatri del mondo:

1926 BUENOS AIRES, t. Colon
1926 RIO DE JANEIRO, t. Lyrico
1926 NEW YORK, t. Metropolitan
1926 PHILADELPHIA, Academy of Music
1927 NEW YORK, t. Metropolitan
1928 BROOKLYN, Auditorium
1928 VERONA, arena
1928 NEW YORK, t. Metropolitan
1929 PHILADELPHIA, Academy of Music
1930 NEW YORK, t. Metropolitan
1935 ROMA, t. Reale dell'Opera
1935 MILANO, t. alla Scala
1938 ROMA, t. Reale dell'Opera
1938 CREMONA, piazza del Comune
1939 BUENOS AIRES, t. Colon
1942 MILANO, t. alla Scala
1942 BARCELLONA, t. Liceu
1943 ROMA, t. Reale dell'Opera
1944 BARCELLONA, t. Liceu
1947 ROMA, t. dell'Opera
1950 ROMA, t. dell'Opera
1951 FIRENZE, t. Comunale
1954 ROMA, Terme di Caracalla
1955 BARI, t. Petruzzelli
1956 ROMA, Terme di Caracalla
1958 ROMA, Terme di Caracalla

Lauri-Volpi (Calaf) e Claudia Muzio (Turandot) nella "TURANDOT" di Puccini, in prima esecuzione per Buenos Aires - Teatro Colón, 25.6.1926

Giacomo Lauri-Volpi e Maria Jeritza in 'Turandot' al Met nel 1926

 
IL MERAVIGLIOSO CALAF DI LAURI-VOLPI, nella testimonianza di Tullio Serafin:

One highly publicized event at the Metropolitan followed in November: the American premiere of "Turandot" with Jeritza as the protagonist and Lauri-Volpi as Calaf. Left unfinished when Puccini died in 1924, the work had been completed by Franco Alfano and given its world premiere, directed by Toscanini, at La Scala in April 1926 with Raisa and Fleta. At the Metropolitan it, like "Vestale", was conducted by Serafin, who recalled the problems he had with Jeritza while it was in rehearsal. He described his "memorable arguments" with her:
«She had a beautiful figure for the Princess Turandot, a face that was hieratic and sensual at the same time; but her voice, even though it was pure and rich, was a little short [on top]. The piano rehearsals all ended up in confrontations between her and me [because] she expected me to change or transpose down Turandot's music, something I would not allow. At a certain point I shouted at her.... That infernal creature, who spoke Italian very badly, said with a little smile, "Serafin is gentlemen and lets ladies get away with their little whims." And I: "Ladies, yes. But prima donnas, no!" And I added, "You're nothing but a bluff: you claim that the role of Turandot is written perfectly for you. Raisa claims that, too. But Raisa can sing it as it is written, and you can't."
She shut up and blushed, as if I had slapped her. But she worked hard, got the top notes, and sang the role exactly as it is written, note for note. Just one more thing about "Turandot": I have to add that Giacomo Lauri Volpi was a marvelous Calaf, who, from that night on, made that role his own in all the great theaters in the world.»
 
(in: Mary Jane Phillips-Matz - "Rosa Ponselle American Diva" - NUP, Boston 1997, pages 221-222)
 
 

 
 





Lauri-Volpi e Gina Cigna in "Turandot" alla Scala

 
Diario di Lauri Volpi, 29 gennaio 1943 : 
In "Turandot", la Cigna, riapparsa dopo un'eclisse passeggera, ha sbalordito i frequentatori del Reale di Roma. L'incantevole sembianza e l'abbigliamento superbo han fatto di lei una principessa cinese il cui ricordo resterà negli annali, quantunque la statura non sia propri di una "figlia del cielo". Fa piacere a un artista, innamorato dell'arte, registrare il trionfo di una compagna, che aduna in sé virtù musicali e vocali fuori dall'ordinario.
Scosso dai suoni e dalla vista della mia compagna, ho moltiplicato l'impeto della mia voce per attingere le altezze ispirate all'incantesimo di luci, di colori e di forme vibranti sulla scena.
Serafin, preso dalla suggestione generale, si è divincolato sotto la bacchetta, dimenando la sua umanità minuta. L'ho visto compresso sotto la mole torrenziale dei suoni, straripanti dal golfo orchestrale e dalla ribalta incandescente.
 
(in: G. Lauri Volpi - "A viso aperto", 1953)


 

Giacomo Puccini - "Non piangere, Liù" (Turandot) - Tenore Giacomo Lauri-Volpi - EIAR, 11 novembre 1941- Live

Giacomo Puccini - "Nessun dorma" (Turandot) - Tenore Giacomo Lauri-Volpi - incisione del 1942

 

Lauri-Volpi con Germana Di Giulio in "Turandot" a Roma nel 1950

 - Germana di Giulio, soprano:
"With Lauri-Volpi, who was to become my frequent partner at the Liceo in Barcelona and the Zarzuela in Madrid, where I returned for many seasons, again it was a totally different form of art. I have never known anyone who worked so seriously and with such love on his vocal production, even in the later years, when he became a sort of myth; and the continual new effects he was able to produce were riveting. Being so deeply interested in vocal production myself, I formed a very close relationship with him.
With the retirement of Cigna and Pacetti, I was called upon to sing Turandot everywhere, and I had Lauri-Volpi as a partner in this work very often. His Calaf was no longer a voice but a trumpet because of the formidable vibrations he was able to produce, and yet when she sang Verdi he used a completely different approach. I have read all his books on singing. (...) His 'Voci parallele' is undoubtedly the best."
(from a 1979 interview, taken in Milan)

[quoted in: Lanfranco Rasponi - "THE LAST PRIMA DONNAS" - London, Gollancz 1984]

 
Il tenore Giacomo Lauri-Volpi nel ruolo di Calaf, nella "Turandot" di Giacomo Puccini rappresentata a Caracalla nell'estate del 1958

In Carmen, all’Arena di Verona, nel 1961 Gabriella Panizza intervistando il giovane tenore Franco Corelli gli chiese: “Durante un’intervista, Lauri Volpi mi ha detto che vai spesso da lui per motivi di studio. Cosa ti colpisce di più in questo grande tenore?” 
 
Questa fu la risposta di Corelli:
“Purtroppo mi è stato possibile ascoltare Lauri Volpi [in teatro] solo poche volte. Me ne ricordo una con particolare emozione. Nel ’58, mentre stavo studiando “Turandot”, una sera mi recai a Caracalla per assistere a una recita dell’opera pucciniana interpretata da lui. Ho avuto un vero choc: la parte di Calaf fatta di squilli, di incisività, di canto eroico e di “bel canto” insieme, emergeva completa in tutto il suo fascino; e la prova di Lauri Volpi mi pareva insuperabile. “Turandot” era un’opera scritta per lui e forse per nessun altro. Per un anno chiusi lo spartito, convinto che non avrei mai potuto reggere al suo confronto. Un anno più tardi, spinto dalle continue pressioni degli impresari, accettai di portare in scena quest’opera. Ma l’interpretazione di Lauri Volpi mi è sempre rimasta davanti agli occhi”.