domenica 1 dicembre 2024

ACUSTICA ALL'APERTO secondo Giacomo Lauri-Volpi e Beniamino Gigli

L'acustica all'aperto all'Arena di Verona, secondo G.Lauri-Volpi ('Rigoletto' e 'Turandot', 1928) e B.Gigli ('Marta' e 'Africana', 1932)

ACUSTICA ALL'APERTO all'Arena di Verona, secondo Lauri-Volpi ('Rigoletto' e 'Turandot', 1928) e Gigli ('Marta' e 'Africana', 1932)!!!

Lettera di Lauri-Volpi, inviata da Venezia - tra una recita e l'altra del 'Rigoletto' e di 'Turandot' - il 20 agosto 1928 alla moglie Maria Ros che si trovava in quel momento a Valencia:

"Appena arrivato a Genova e liberatomi dalle noie della dogana, partii in automobile con Zenatello. Arrivammo a Milano in sei ore penose, per la pessima strada e la polvere asfissiante. L'indomani, all'alba, ripartimmo per Venezia. Tre ore deliziose, queste, per la bellissima strada olmata e il panorama suggestivo. Poche ore di riposo nella villa di Zenatello e la Gay: una corsa in mezzo a un orto ricco di vegetazione. In serata, una prova all'Arena. Ieri sera mi presentai nel 'Rigoletto'. Successo enorme, replica della 'ballata' e della 'canzone'; parossismo del pubblico al 're bemolle' del duetto.
La voce mi ha servito pronta e ardita, quasi che non fossi esaurito dal lungo viaggio in mare e in macchina e dal poco dormire. L'Arena è veramente superba, grandiosa, gloriosa. Immagina: ieri sera, gremitissima, era un mare di teste. E quando nell'immensa cavea e per le gradinate, illuminate a giorno, il pubblico in segno di saluto, sventolò in mio onore i fazzoletti e, spente le luci, accese, come qui si costuma, miriadi di candeline, tutto il vasto anfiteatro romano offriva, nella notte stellata, uno spettacolo indimenticabile, unico. Peccato, Maria, che tu non c'eri. Avresti pianto di gioia. La notte scorsa, esaltato dalla recita, e stanchissimo per le tante emozioni, ho dormito appena cinque ore. Questa sera, 'Turandot'.
Per la prima volta, in vita mia, ho cantato all'aperto, davanti a tanta folla. In quella vastità temevo che la voce si perdesse. Per contro - mi si dice - ha risuonato, dominatrice, ovunque conquistando spazi e cervelli. La gente sembrava impazzita."

(da: G. Lauri Volpi - "Parlando a Maria" - Trevi Editore, 1972)

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28 luglio 1932 - Verona, in occasione delle recite di "Africana", Beniamino Gigli concede un'intervista al giornale "Arena":

«(...) "Nel mio continuo pellegrinare - pellegrino di canto e di arte, per quanto mi è possibile, italiana - Verona è una delle soste più care e più belle", così ci diceva Beniamino Gigli, rievocando il suo soggiorno ed il suo successo veronese di tre anni fa. "Verona è una città nella quale io respiro l'aria dell'arte (...) Potrei dire che qui è tutto bello; certo che tutto è suggestivo come è suggestiva la storia di questa città illustre che, fra gli altri primati, può vantare quello - e per un artista non è una cosa secondaria - degli spettacoli lirici all'aperto".

- Lei crede, abbiamo chiesto, al successo, o meglio all'avvenire, degli spettacoli lirici all'aperto?

"Certo" - e nel risponderci calorosamente, il suo volto si è illuminato di un sorriso - "certo, e non affermo un paradosso, i veri spettacoli lirici, i più completi si possono avere all'aperto. Ma, c'è un ma, che pregiudica queste rosee speranze; e cioè che pochi sono i teatri all'aperto che si prestano bene. Il migliore, quello che ha diritto ad un avvenire, è il teatro costituito dalla vostra Arena. Lo spettacolo lirico in Arena non perde della sua efficacia musicale e vocale, poiché i mezzi acustici del grande anfiteatro sono meravigliosi, dovrei dire portentosi. Quanti non sono i teatri che vanno per la maggiore, e sono più sordi dell'Arena? Potrò farne un elenco che sarebbe più numeroso delle dita delle mani. E lei", continua il nostro interlocutore, sempre più accentuando la vivacità della sua conversazione, "non ha idea che voglia dire per un artista cantare in un teatro che uccida la voce, che ne smorzi i chiaroscuri e ne uniformi quella gamma di pause che sono necessarie onde creare nel canto quell'atmosfera melodica che è la sua ragione principale di gioia e di entusiasmo per lo spettatore. Questi inconvenienti in Arena non si verificano, poiché essa è, per usare una frase colorita e di moda, una grande conchiglia sonora. (...)".

- Ha provato subito questa sensazione, durante le prime due recite di "Marta"?
Beniamino Gigli sorride e tace per qualche breve istante. Il ricordo del primo debutto in Arena, è certo per l'illustre artista molto gradito.

"Ecco: sarò sincero. Accettai di cantare in Arena con qualche esitazione. Temevo che l'anfiteatro non rispondesse a pieno, e che il pubblico gradisse questi spettacoli più per la loro completezza coreografica, che per la loro impronta artistica lirico-musicale. Invece, dopo i primi momenti nei quali non provavo apprensione, ma un senso di disagio, mi accorsi che il pubblico - e che pubblico era: un fiorire infinito di teste, di vesti che io scorgevo indistintamente; e lassù in alto, il bagliore bianco dell'ala dell'Arena, sola, e irta come un fantastico scoglio - dicevo che mi accorsi come il pubblico sin dall'inizio fosse preso dal canto e dalla musica, che risuonavano nel silenzio alto dell'anfiteatro in tutta la loro pienezza". (...)»

(l.p. "Arena", 28 luglio 1932)

Le grandi trasmissioni dell'EIAR - "Ugonotti" all'Arena di Verona ("RADIOCORRIERE", 1933)

Gli Ugonotti all'Arena di Verona - RADIOCORRIERE - 13-20 agosto 1933 (con Lauri-Volpi)

LE GRANDI TRASMISSIONI DELL' "EIAR" - "UGONOTTI" ALL'ARENA DI VERONA -

(...) Ormai, lanciare nell'etere uno spettacolo, anche non appositamente preparato per la radio, è divenuta cosa quotidiana: ma certe commistioni, che, letterariamente, si potrebbero definire, all'antica, contaminazioni, generano tuttavia nuove meraviglie e ammirati consensi.
Non si entra in uno dei grandi monumenti del passato senza riceverne nell'anima il prestigio: e in verità sembra che i fantasmi di antichi costumi, di glorie polverizzate, di forze disperse, risalgano dalle ruine, specialmente quando queste rimangano quasi intatte, come avviene per l'Arena di Verona. E già sorprende di poter ricostruire spettacoli odierni, là dove i Romani organizzarono feste grandiose, di ammassare migliaia di spettatori, in abito d'oggi, là dove furono i pèpli, le porpore, le tuniche, le lorìche; di alzar palcoscenici giganti, dove si ergevan le tribune dei Consoli e dei Proconsoli, di affidare gli effetti luminosi ai potenti riflettori elettrici, dove soltanto il Sole li creava, e di far cantare Lauri Volpi, in vesti cinquecentesche, là dove i bestiarii, i reziarii, i gladiatori, davan spettacolo di gagliardia e d'audacia.
Ma più ci esalta collocare i microfoni, minimi ordegni novecenteschi, a contatto con le pietre millenarie, che reggimenti di schiavi tagliarono, alzarono, addossarono, per trenta metri d'altezza e 400 metri di perimetro, in tre file di cinte, e son lì, da venti secoli, maestose e taciturne, e videro tanta storia di tempi e di genti, e oggi servon l'acustica per una trasmissione radiofonica...
La quale, conviene dirlo, si presentava, tecnicamente, con molte incognite, non tanto per l'incrocio di innesti di linee, dovendo irradiarsi per tutta l'Italia, quanto per le difficoltà di "presa". Il pubblico di un'Arena non è quello di una sala, dove leggi e tradizioni impongono una disciplina di silenzio e di compostezza. Nell'Arena, la stessa enormità di spettatori, calcolati a 18.000, provoca un diffuso e gigantesco mormorio, imponente di altezza e di vastità.
Inoltre, linee di fortuna, grovigli di cavi, mucchi di batterie, messi in opera, dove?... In un sotterraneo della galleria interna, in una di quelle volte che fan capo ai 74 vomitorii antichi, oggi chiusi verso la "càvea" ma aperti appunto nei sotterranei: e a contatto con gli altri giganteschi "camerini", dove centinaia di comparse, guerrieri, ballerini, folla d'ambo i sessi, studenti, cittadini, ugonotti e cattolici, tutti egualmente religiosi del fracasso e dello schiamazzo, andavano, venivano, gorgheggiavano, gridavano, allegrissimi ad onta delle discordie intestine che avvenivan frattanto sul palcoscenico.
Pure, a prescindere dallo spettacolo visivo, che rappresenta certamente una grande attrattiva, si può affermare che, dal punto di vista lirico, l'Opera di Meyerbeer sia stata gustata meglio per radio che per diretta ascoltazione. Pensiamo, infatti, alle condizioni di vastità dell'ambiente; l'orchestra, pur di grande complesso, sembra affiochirsi in tanto aere, e alle gradinate estreme giunge assai tenue; lo stesso valga per le voci, che, se sprofondate in dentro, han da vincere distanze prodigiose. Sicchè, ci vuole la potenza d'un Lauri Volpi o d'un Pertile, per superarle con vantaggio. Perfino la compattezza dei cori subisce talune diseguaglianze, taluni ritardi fra primi e ultimi piani, comprensibilissimi.
Orbene, ai microfoni, posti con scienza oculata, nessun rapporto giunge diminuito o sfocato. Essi raccolgono in piena misura tanto le voci del palcoscenico come quelle orchestrali, evitando in maniera quasi assoluta i movimenti della folla innumerevole.
Martire, certo, ed eroe, il direttore tecnico della trasmissione. Conoscetelo, idealmente, o ascoltatori! Vedetelo, all'atto dell'inizio, già in cuffia da un'ora per i definitivi assaggi delle linee, già esausto di preparazione e di organizzazione scientifica, passare in completa tensione, pur calma e serena, all'ascoltazione dell'opera "in partenza", valutando, secondo per secondo, l'entità dei suoni e modulandoli all'uopo: tutto questo, per la durata, non certo breve, dell'opera, continuamente informandosi dell' "arrivo" d'onda alle stazioni, tecnico e musicista insieme, direttore d'orchestra, di cori e di masse, sull'immenso palcoscenico della radio, votato al silenzio e all'ombra.
Per la cronaca, una splendida luna. La quale ammirava, ammiratissima, la Parigi del 1572 (...)
CASALBA.

(dal "RADIOCORRIERE" del 13-20 agosto 1933)

L'ESECUTORE VOCALE: il più intimo e diretto collaboratore di un Compositore e di un Direttore d'orchestra

Giacomo Lauri-Volpi - CON TOSCANINI (1967)

"Il più intimo, diretto collaboratore di un Compositore e di un Direttore d'orchestra è l'ESECUTORE VOCALE"!!!

Giacomo Lauri-Volpi - CON TOSCANINI:
È per me un insigne onore (...) per un artefice della voce cantata, un collaboratore scenico, un esecutore del melodramma, trovarsi qui, in mezzo a direttori d'orchestra tra i più illustri del nostro tempo, a critici musicali e compositori non meno egregi, per l'invito rivoltomi dal Sovrintendente dr. Remigio Paone, con le parole lusinghiere:
"A questo convegno, dal quale la figura del grande Interprete possa risultare precisata il più concretamente possibile, quale protagonista di tutto un capitolo fondamentale nella storia della direzione d'orchestra, saremmo lieti che Ella volesse partecipare recando i ricordi della Sua personale conoscenza del Maestro".
Questo straordinario convegno, indetto a soli pochi mesi dal cataclisma che ha minacciato di affogare Firenze; la città Fiore del Mondo (così la chiamano in uno splendido libro Papini, Bargellini, Prezzolini e Soffici) (...) è un segno di quanto possano l'amore dell'Arte e la volontà di vivere e fiorire di tutto un popolo che, come il popolo ellenico, diede lezione imperitura al mondo del pensiero e dell'Arte.
(...) Ma non è la prima volta che Firenze si rivolge ad un cantore per ricordare un grande musicista. Si sa che il più intimo, diretto collaboratore di un compositore e di un direttore d'orchestra è l'esecutore vocale. È la voce primaria, che non solo interpreta note, ma incarna un personaggio, la "dramatis persona" pur nella finzione che, tuttavia, dà al pubblico il senso della vita nella figura, nel gesto, nella parola scenica, nel suono cantato.
Quando si trasferì dal Cimitero di Père Lachaise alla recentemente inondata Basilica di Santa Croce, la salma di Gioacchino Rossini, il Sindaco di Firenze Marchese Torrigiani e il Presidente dell'Istituto Musicale invitarono a parlare, dopo le Autorità cittadine e nazionali, il tenore Tamberlick, venuto espressamente da Parigi a tributare, anche a nome dei suoi compagni, l'omaggio di tutta una generazione di cantanti gloriosi, alla memoria del Cigno di Pesaro. Le sue parole davanti al feretro, riaperto dopo 18 anni dalla morte di Rossini, suscitarono un senso di stupita commozione, espressa da una voce che, dal Maestro, aveva ricevuto consigli, ispirazione, incitamenti per quella nostalgia di perfezione estetica propria dei grandi spiriti. Anch'io vengo da lontano a recare il mio tributo di ammirazione al sommo Interprete, qualificato, giustamente, "protagonista di tutto un capitolo fondamentale nella storia della direzione d'orchestra".
Del resto, la storia della direzione orchestrale vera e propria risale ad un secolo. Mi sia concesso riassumerla succintamente.
Un tempo le orchestre si riducevano a una limitata famiglia di strumenti. Il dramma cantato era affidato esclusivamente alle voci primarie per le quali, assai spesso, gli autori componevano le loro opere. La supremazia delle voci muliebri e, più tardi, il predominio di quelle dei sopranisti eunuchi, assorbiva l'interesse degli spettatori a tal punto, che la parte strumentale si limitava al pedissequo accompagnamento del canto scenico. Il direttore batteva il tempo. Spesso doveva soggiacere al capriccio delle auree, quanto arbitrarie, gole per le quali non esisteva né ritmo, né stile. Unica legge, il virtuosismo; unica genialità, l'improvvisazione.
Ma Rossini limiterà sghiribizzi e ghirigori degli improvvisatori. Comporrà le cadenze lui stesso, e dirigerà talvolta le sue opere emergendo dalla fossa orchestrale. Col "Guglielmo Tell" darà intenso impulso alla trama strumentale, affidando all'orchestra parte concomitante, se non preminente - come avverrà con l'avvento del dramma musicale wagneriano -, nella elaborazione del melodramma tipicamente italiano. Si manifestò allora la necessità di un animatore, di un condottiero della falange strumentale, composta di elementi a corda, a fiato, a percussione, nonché della massa corale, che incominciò a farsi poderosa e ponderosa. Urge che tutti i fili dello spettacolo siano in mano di un solo: di una specie di Demiurgo. Appaiono i primi grandi direttori d'orchestra nella seconda metà del secolo romantico. Non più semplici battitori di tempo con l'archetto o un fascio di fogli in mano.
Il Berlioz ne parla argutamente, dopo aver assistito ad un concerto vocale e strumentale a San Luigi de' Francesi in Roma.
Si delineano le prime figure dei cosiddetti "maghi della bacchetta", un tantino egocentrici, che non sempre eseguivano ciò che l'autore ha scritto, sostituendosi, in questa attitudine, alla condotta dei tanto deplorati divi del bel canto. Le rivalità tra i protagonisti scenici e i protagonisti del podio, iniziano quell'incrinatura della compagine vocale e strumentale che, qualche decennio più tardi, porterà alla crisi del teatro lirico. Il quale tuttora, e oggi più che mai, ne subisce - sia detto per inciso - le perniciose conseguenze, dalle quali ha tratto vantaggio enorme una nuova figura di esecutore: il "divo" della regia, la cui categoria è salita al massimo fastigio della gerarchia dello spettacolo operistico.
Purtroppo le rivalità tra esecutori travolsero, non di rado, l'autorità dello stesso compositore, cioè del vero creatore dell'opera d'arte. Qualcosa ne seppero lo stesso Verdi, Puccini e Giordano e Mascagni. Così ha finito per prevalere nell'animo del pubblico una nuova forza, una oscura forma di pseudo musica e di pseudo canto a base di ritmi elettronici e di voci epilettoidi.
Dicevo che fin dai tempi di Verdi, s'inizia l'avvento della prestigiosa bacchetta. Ma i veri direttori d'orchestra riuscirono a prevalere non per sortilegi e virtù esoteriche, ma per devozione e lealtà verso la musica e il compositore. I Mariani, i Faccio, i Mancinelli, i Ferrari, i Mugnone, i Vitale, i Serafin, i Gui, i Marinuzzi, i De Sabata, onorarono il podio.
Eccelse il conterraneo di Verdi: quell'Arturo Toscanini che, per oltre mezzo secolo, sbalordì l'universo della musica (...)

(in: LA LEZIONE DI TOSCANINI - Atti del Convegno di studi toscaniniani, tenutosi dal 6 all'11 giugno 1967 a Firenze, nella Sala dei Dugento di Palazzo Vecchio, nell'ambito del XXX Maggio musicale fiorentino - Firenze, Vallecchi ed. 1970 - ristampa anastatica, Parma, agosto 1985; tra i relatori e partecipanti vi erano personaggi come E. Ansermet, M. Carner, G. Confalonieri, F. d'Amico, T. Dal Monte, M. Favero, E. Gara, G. Gavazzeni, R. Leibowitz, E. Lendvai, R. Pampanini, T. Pasero, G. Pugliese, M. Stabile, A. Votto.
La relazione intitolata "CON TOSCANINI" inviata dal grande tenore di Lanuvio, Giacomo Lauri-Volpi (da Burjasot, Valenza - SPAGNA), non fu letta al convegno ed appare pubblicata in Appendice agli Atti del Convegno internazionale: sei storiche giornate, in otto sedute, dedicate ad Arturo Toscanini, a dieci anni dalla scomparsa del celebre Maestro parmigiano)