In Carmen, all’Arena di Verona, nel 1961 Gabriella Panizza
intervistando il giovane tenore Franco Corelli gli chiese: “Durante
un’intervista, Lauri Volpi mi ha detto che vai spesso da lui per motivi
di studio. Cosa ti colpisce di più in questo grande tenore?”
Questa fu
la risposta di Corelli:
“Purtroppo mi è stato possibile ascoltare
Lauri Volpi [in teatro] solo poche volte. Me ne ricordo una con
particolare emozione. Nel ’58, mentre stavo studiando “Turandot”, una
sera mi recai a Caracalla per assistere a
una recita dell’opera pucciniana interpretata da lui. Ho avuto un vero
choc: la parte di Calaf fatta di squilli, di incisività, di canto eroico
e di “bel canto” insieme, emergeva completa in tutto il suo fascino; e
la prova di Lauri Volpi mi pareva insuperabile. “Turandot” era un’opera
scritta per lui e forse per nessun altro. Per un anno chiusi lo
spartito, convinto che non avrei mai potuto reggere al suo confronto. Un
anno più tardi, spinto dalle continue pressioni degli impresari,
accettai di portare in scena quest’opera. Ma l’interpretazione di Lauri
Volpi mi è sempre rimasta davanti agli occhi”.
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