mercoledì 3 aprile 2024

Il rapporto artistico tra Giacomo Lauri-Volpi e Puccini, ammiratore del grande tenore di Lanuvio, che per lui scrisse il ruolo di Calaf nella sua ultima opera 'Turandot'


- Il rapporto artistico tra Giacomo Puccini e il suo tenore prediletto: Giacomo Lauri-Volpi (da "Gianni Schicchi" a "Turandot") -



LAURI-VOLPI: Venne la volta del "Gianni Schicchi". La parte di Rinuccio mi calzava a meraviglia e m'era simpatica per il ricordo dell'audizione [con Emma Carelli], in cui cantai, per primo brano, l'inno: "Firenze è come un albero fiorito".
Puccini, presente a tutte le prove di pianoforte, non era soddisfatto. Come al solito, la voce si contraeva per l'emozione in sala e perdeva l'ardore e il palpito della sensibilità, che le derivava dalla presenza del pubblico e dall'armoniosità dell'orchestra, a differenza di altre voci che il panico annichilisce sulla ribalta.
Mocchi intervenne a tempo:
"Maestro, non sa lei che questo giovanotto ha rivoluzionato Roma in quindici recite di 'Manon'? Mi saprà dire quel che penserà quando l'avrà visto e udito in scena".
Il grande e buon Puccini non insistette e attese il successo dell'opera; successo che non tardò a venire tal quale l'aveva pronosticato Mocchi.
Puccini divenne mio ammiratore e due anni più tardi scrisse questa lettera a Raul Gunsbourg, direttore del Teatro di Montecarlo:

Milano, Via Verdi, 4 (13-1-1922)
"Carissimo Raul, grazie della tua lettera. Ho domandato a Lauri Volpi se canterebbe la mia povera Rondinella, 'La Rondine', ch'io voglio risuscitare, e mi ha detto di 'sì'. Gli ho fatto avere la musica della 3a Edizione che è come la prima, ma con piccoli miglioramenti. Per la Lisette, la Signora Ader non potrà farla. Sicchè pensa tu a questa parte. Domenica andrà 'Trittico' alla Scala. Spero molto bene. Ti ringrazio di cuore se rimetterai in scena la mia povera Rondinella - credimo tuo
G. Puccini"

A maggio, dopo aver cantato anche al Politeama Fiorentino "Gianni Schicchi", m'imbarcai a Genova per Rio e Buenos Aires con tutta la Compagnia del Costanzi, compresi coro, orchestra e scenari. (...)




L'EQUIVOCO - "Rigoletto" alla Scala con Toscanini
Per quindici giorni prove, controprove e antiprove, prove in costume e prova generale ci meccanizzarono, mummificarono, fossilizzarono. Si giunse alla recita (14 gennaio 1922) presi da una forza d'inerzia subcosciente. (...)
Il giorno della quinta recita mi ammalai di faringite, che si manifestò con un repentino abbassamento di voce nelle ore pomeridiane. Avvertii sull'imbrunire il Direttore Generale, l'ex baritono Scandiani, il quale, accompagnato da Lusardi, venne al mio capezzale non per esprimere sentimenti amichevoli, ma per redarguire aspramente:
"Con quale criterio lei ha osato prevenire all'ultimo momento, a poche ore dallo spettacolo, l'Impresa di un gran teatro, che avrebbe potuto in tempo utile provvedere per sostituirla con uno dei tanti cantanti della sua categoria che sono a disposizione? Come si rimedia ad ora così tarda? Questo è un tranello, un trucco, una rappresaglia. Per la soppressione di una cadenza Lei ha voluto mettere in angustia l'Impresa con premeditata perfidia".
Mortificato dal male, irritato dalla ingiustizia dei sospetti, umiliato nella mia dignità di gentiluomo, non potei tollerare oltre tanta violenza e scattai:
"Esca immediatamente e non mi costringa a mancarle di riguardo. Se ne vada; altrimenti le scaravento addosso ogni cosa".

Il poveretto, che in fin dei conti compiangevo io stesso per il danno involontariamente da me arrecatogli, non si fece ripetere due volte l'energico invito e partì furioso, minacciando vertenze, processi e fulmini.
Toscanini scagliò l'anatema: "Quel ragazzo non canterà mai più sotto la mia direzione".
Scandiani a sua volta, giurò: "Quel tenore non metterà più piede alla Scala finchè io ne sarò Direttore Generale".
Io rimasi in un fondo di letto per quindici giorni con alta febbre. Quando, levatomi, esplorai la zona minata della Galleria, dovetti cautamente arrestarmi alla periferia dove arrivava l'eco delle detonazioni della maldicenza. Il giudice più benevolo stimava che il mio avvenire lirico era compromesso irrimediabilmente.
Per molti anni, infatti, rimasi all'indice e fui classificato fra gli scomunicati reietti della Scala. Si attribuì la interruzione delle recite non al male, ma ad un diverbio che avrei avuto con Toscanini e all'ipotetica mia protesta per l'esclusione della cadenza. Le invenzioni della fantasia collettiva fecero il resto e degenerarono in pettegolezzi degni di isterismi ancillari. Così, una banalissima infreddatura mi creò una atmosfera irrespirabile per circa otto anni nell'Italia Settentrionale e molta gente, coll'andar del tempo, credette e fece credere alla menzogna (su cui gli astuti abilmente specularono giuocando sull'equivoco) di una protesta in piena regola inviatami da Toscanini per motivi artistici, come se alla quinta recita di un'opera alla Scala sia ammissibile un provvedimento siffatto. Non sempre le rivalità adoperano le armi legittime del valore. La calunnia e l'ipocrisia congiurarono attivamente contro l'oggetto della loro persecuzione, soprattutto quando esso occultasi indifeso nella solitudine dell'orgoglio e dell'austerità.
Con Maria partii, profondamente amareggiato, per Genova, dove il transatlantico "Conte Rosso" ci attendeva per il viaggio a New York. (...)


A Buenos-Aires, nella medesima stagione, creai la parte del "Principe Ignoto" nella "Turandot", protagonista Claudia Muzio (26 giugno 1926). La direzione del Teatro della Scala aveva vietato a due artisti italianissimi l'orgoglio di eseguire la primissima edizione dell'opera postuma di Giacomo Puccini su scene italiane. Essi furono compensati dall'onore di portarla sulle scene bonearensi e di farne un'interpretazione rimasta indelebile nell'anima degli Argentini e nella storia di quel Teatro. (...)
Colla Jeritza creai la "Turandot" anche al Metropolitan. La soprano viennese sbalordì per maturità di preparazione, atteggiamenti imperiosi e felini, impeto drammatico. Non ho mai vista "Turandot" più crudele e adorabile di Maria Jeritza. Toscanini dirigeva in quel momento l'orchestra sinfonica al 'Carnegie Hall'. Una sera cantavo la "Gioconda". La suggestiva romanza, sospirata sulla prua della nave nella notte incantata della laguna veneziana, suscitò emozioni di godimento, oblii di passione e tenerezza infinita in ogni ascoltatore. Toscanini era presente. Il giorno dopo, compiuta l'incisione sui dischi Victor dei preludi del primo e dell'ultimo atto della "Traviata", Toscanini si fece accompagnare al mio albergo dal Segretario Bruno Zirato, il quale così narra l'eccezionale visita:
"Siamo venuti a trovarla all'hotel Ansonia. Lei viveva solo, col suo valletto, perché la gentile signora Maria era rimasta convalescente in Spagna. 'Totonno', il suo famosissimo e strano tipo di cameriere, le annunziò la nostra visita con l'originalissima frase: 'c'è chillu luongo, luongo, con nu vecchiu e 'na vecchia'. Lei, venuto fuori dalla sua camera da letto nel salotto, rimase trasecolato di trovarsi alla presenza di Arturo Toscanini e della Signora Carla, consorte del maestro. Il quale di primo acchito le rivolse l'ivito a collaborare con la Scala per il giro a Berlino e a Vienna, sotto la sua direzione. Ella accettò entusiasticamente commosso e il Maestro le espresse gratitudine e compiacimento. Forse Lei non saprà che la sera prima, cantando Lei 'Gioconda' al Metropolitan, il Maestro acquistò per suo conto un modestissimo biglietto di Galleria e di lassù ammirò immensamente la sua eccezionale interpretazione di Enzo e il suo canto magnifico."
Bruno Zirato
320 West - 72 Street - New York - City


Nulla debbo aggiungere alla cronaca, che l'amico Zirato si compiacque evocarmi in occasione di una smentita, che i malevoli vollero fare circa l'invito direttamente personale rivoltomi da Toscanini e da speculatori partigiani messo in dubbio. Sì, proprio Toscanini venne in carne ed ossa nel mio appartamento all'Ansonia Hotel. Il gesto gli fa grande onore. Egli dimenticò minacce e anatemi, lanciati contro il giovane Duca di Mantova sette anni prima e lo invitò, maturo, a cantare con lui al Teatro di Stato e di Charlottenburg a Berlino.
L'infamato Lauri-Volpi fu il Duca di Mantova e il "Trovatore" del grande giro scaligero. Dio volle che trionfasse su tutta la linea e sgominasse i suoi nemici. Toscanini, grandissimo direttore e sensibilissimo musicista, compresse l'amor proprio e l'egoismo, e per amore alla sua musica, alla sua arte, al suo Verdi e alla sua Scala, capì la necessità di ricondurre all'ovile la pecorella esclusa. Il grande maestro parmense diede prova di saper fare ammenda, trionfando di se stesso. In ciò sta la sua gloria migliore.

(da: GIACOMO LAURI-VOLPI - "L'equivoco", 1938)




N. B. - Come riportato in: Mary Jane Phillips-Matz - "Rosa Ponselle American Diva" - NUP, Boston 1997, pages 221-222, ecco il commento di Tullio Serafin in merito alla performance di Lauri-Volpi nella 'prima rappresentazione americana' di Turandot (16 novembre 1926) con la Jeritza:
"I have to add that Giacomo Lauri Volpi was a marvelous Calaf, who, from that night on, made that role his own in all the great theaters in the world".!

E della performance di Lauri-Volpi nel ruolo di Calaf al Met si scriveva sui giornali:
"If we had not known him by his princely garb of purple velvet and jade green and the comely figure that he made, we should have known him by the pealing of his trumpet-voice - as Eve, so she told Adam, recognized the tiger by his stripes. Mr. Lauri-Volpi has not forgotten how to fling a high B flat into an enraptured auditorium." - Lawrence Gilman, "The Herald Tribune", November 1, 1927. 



'Musica d'oggi', agosto 1928

Serata di gala alla Scala con la ripresa di TURANDOT, con Cigna e Lauri-Volpi (Il Popolo d'Italia, 13 aprile 1935)

'Musica d'oggi', maggio 1935






Martedì 7 ottobre 1941 - VARIAZIONI SCALIGERE
- Ritorno di Lauri Volpi -
Dal "Sogno" di Manon all'"Esultate" di Otello

--> https://lauri-volpi-tecnicavocale.blogspot.com/2023/05/giacomo-lauri-volpi-desiderato-e.html

(...) Il ritorno alla "Scala" di Giacomo Lauri Volpi, dopo tanti anni di assenza variamente interpretata, merita qualche spiegazione.
Nell'attesa mi s'affollano i lontani ricordi: fu proprio in quella sala, testimoni i ritratti di Verdi e di Boito dominanti dalle pareti, che scoppiò il grosso urto con Arturo Toscanini, per la famosa cadenza del Rigoletto. L'opera verdiana aveva trionfalmente rivelato ai milanesi il giovanissimo tenore in una precedente stagione al Dal Verme. Ora il maestro l'aspettava al varco di una personale audizione a tu per tu. Tragica atmosfera di burrasca, nel chiuso e cupo silenzio toscaniniano e nell'ostile accoglienza al tenore sgomento. Finalmente il temibile giudice siede al piano, apre lo spartito, fa cenno d'attaccare. Alla fine della ballata, la cadenza lo esaspera. Batte con forza il pugno sulla pagina. Non parla. Il silenzio si prolunga per qualche minuto. L'ira repressa del maestro si sfoga nel caratteristico torturarsi dei baffi. Ma Lauri Volpi prova l'impressione d'essere lui al posto di quei baffi, sotto quelle unghie che lo fanno rabbrividire. Poi la prova riprende e continua. Ecco il momento della "Donna è mobile"... Lauri la chiude con la filatura che Angelo Masini s'era creata per l'effetto irresistibile, e che, dopo di lui, tutti i tenori avevano, più o meno bene, imitato. La filatura, questa volta, è perfetta. Ma su tanta perfezione scoppia come una bomba l'esplosione di Toscanini:
— Ah! No! questo poi no, non lo permetto!... Questa è un'indegnità, un idiota esibizionismo di cantanti buffoni... Tu devi cantare quel che Verdi ha scritto, m'intendi? Alla Scala non si fanno pagliacciate... Lascia pur le varianti agli imbecilli...
La sfuriata continua. Lauri incassa e ubbidisce. Dopo le prime recite s'ammala. Una rappresentazione di Rigoletto a teatro esaurito è per forza sospesa. Si attribuisce la malattia, che è vera, a una postuma vendetta del tenore. Invenzioni, deplorazioni, commenti, dilagano in Galleria e fuori. Più tardi egli ne paga il fio. Desiderato e sognato da Puccini vivente come creatore del Principe Calaf di Turandot, nella prima indimenticabile edizione scaligera, viene sostituito dallo spagnolo Fleta.
La filatura del Rigoletto si era prolungata oltre il credibile: fino al 1926. (...)

A ventun anni di distanza il tenorino lirico ha compiuto la gamma della sua evoluzione. Dal lontano Sogno di Des Grieux ora erompe il drammatico "Esultate" dell' Otello, che è un simbolico grido di vittoria.

Giuseppe Adami [N.B.: il librettista, assieme a Renato Simoni, della 'Turandot' pucciniana]

(STAMPA SERA - Anno XIX)


In Carmen, all’Arena di Verona, nel 1961 Gabriella Panizza intervistando il giovane tenore Franco Corelli gli chiese: “Durante un’intervista, Lauri Volpi mi ha detto che vai spesso da lui per motivi di studio. Cosa ti colpisce di più in questo grande tenore?”
 
Questa fu la risposta di Corelli:
“Purtroppo mi è stato possibile ascoltare Lauri Volpi [in teatro] solo poche volte. Me ne ricordo una con particolare emozione. Nel ’58, mentre stavo studiando “Turandot”, una sera mi recai a Caracalla per assistere a una recita dell’opera pucciniana interpretata da lui. Ho avuto un vero choc: la parte di Calaf fatta di squilli, di incisività, di canto eroico e di “bel canto” insieme, emergeva completa in tutto il suo fascino; e la prova di Lauri Volpi mi pareva insuperabile. “Turandot” era un’opera scritta per lui e forse per nessun altro. Per un anno chiusi lo spartito, convinto che non avrei mai potuto reggere al suo confronto. Un anno più tardi, spinto dalle continue pressioni degli impresari, accettai di portare in scena quest’opera. Ma l’interpretazione di Lauri Volpi mi è sempre rimasta davanti agli occhi”.